Tutto in quattro giorni: esordio in nazionale A, compleanno, passaggio al Manchester City per 28 milioni di euro.
Ventiquattro ore dopo aver compiuto 20 vent’anni Mario Balotelli lascia l’Inter e l’Italia per andare a giocare in Inghilterra. La società nerazzurra e il giocatore hanno alla fine accettato le offerte di Roberto Mancini, il tecnico che a soli 16 anni lo aveva fatto esordire in serie A. La cessione dell’attaccante al City è un affare che rivela la miopia di quasi tutti i protagonisti coinvolti.
Innanzitutto quella della società campione d’Europa. Nonostante si sia spesso espresso in termini opposti, Moratti non ha fatto nulla per trattenere Balotelli. Tantomeno i suoi (ex) compagni. La sua cessione, preso atto del muro che separava il ragazzo dai senatori della squadra, è stata vista come la soluzione più rapida e definitiva al problema. Perché Balotelli, dopo le critiche a Mourinho e le mal celate simpatie milaniste, è stato visto e vissuto come un problema: prima lo si fa fuori meglio per tutti. Trattato alla stregua di Adriano, con lo stesso atteggiamento che aveva guidato le scelte di Lippi prima del fallimentare mondiale sudafricano: fuori i piantagrane, lo spogliatoio conta più della tecnica. Si è visto. Troppo spesso ci si dimentica che questi ragazzi sono innanzitutto calciatori e la valutazione della personalità non può oscurare quella di capacità tecniche e tattiche. Senza Sneijder, Milito, Eto’o, giocatori di personalità ma anche di grande talento, i pur esemplari soldati Zanetti e Cambiasso in Europa non avrebbero mai trionfato. L’Inter che non cede il 29enne Maicon per 30 milioni di euro, ma per 28 dà via il suo gioiello in prospettiva più brillante, commette un errore grave. Non basterà vincere nei prossimi uno-due anni per darsi ragione per aver rinunciato a un giocatore che, potenzialmente, può segnare il prossimo decennio con Pato, Romelu Lukaku e Neymar. L’eventuale fallimento della carriera di Balotelli è l’unica possibilità di riabilitare una scelta così deleteria.
Ma la dabbenaggine dell’Inter non trasforma automaticamente Roberto Mancini in un sapiente stratega. L’ex tecnico nerazzurro è riuscito in pochi mesi ad azzerare o quasi i due anni di lavoro di Mark Hughes e anche le poche note liete dei suoi primi mesi alla guida del City. Rilanciare a sinistra Garrido, voluto da Erikssson e accantonato da Hughes, era stata un’intuizione felice. Ma lo spagnolo è stato girato alla Lazio in cambio di Kolarov. Soprattutto Mancio non sembra avere idee nette su come far giocare la squadra. Era accaduto anche all’Inter dove aveva fatto acquistare Davids a peso d’oro, per poi confinarlo tra panchina e tribuna. Ceduto al Tottenham l’olandese avrebbe giocato una delle stagioni migliori dell’intera carriera. Al City appena arrivato Mancini è riuscito a mettersi in rotta di collisione con mezzo spogliatoio: ha fatto fuori nel giro di poche settimane Robinho e Ireland, e adesso è la volta di Craig Bellamy e Shay Given. Coraggioso o incosciente? Nel precampionato il City si è rivelato per quello che è: un cantiere aperto. Con Kolarov e Balotelli sono arrivati David Silva, Jerome Boateng, Yaya Toure: tutti all’esordio nel cacio inglese. Ci vuole tempo per mettere insieme una squadra rifatta per la terza estate di fila e proprio questo tempo nessuno sembra volerlo concedere al tecnico italiano, colpevole per la società di aver deprezzato il capitale ereditato e per i tifosi di aver condannato la squadra a un altro anno di transizione. Tempo tre mesi e Mancini potrebbe non essere più l’allenatore del City, solo un avvio super in campionato può evitargli l’esonero.
Questa eventualità, tutt’altro che remota, non sembra essere stata considerata a dovere da Balotelli. Esclusa la possibilità di restare all’Inter, situazione subita più che voluta, il giovane attaccante della nazionale aveva la possibilità di poter scegliere tra le due squadre di Manchester: ma tra United e City ha preferito la seconda. Situazione apparentemente più comoda e rassicurante: più soldi e un allenatore amico. Andare all’Old Trafford avrebbe significato trovarsi davanti sir Alex Ferguson ma anche gente come Ryan Giggs e Paul Scholes da cui puoi solo imparare come vincere e gestirti con sobrietà (in campo e fuori). E qui si è capito che chi gestisce Balotelli non lo fa pensando al domani. E probabilmente nemmeno al ragazzo. Per avere l’ok del giocatore a un contratto più lucroso per tutti è bastato mettere in secondo piano la prospettiva di venir rifinito a dovere come accaduto a Cristiano Ronaldo e Wayne Rooney (ma anche a Eric Cantona, sebbene in tarda età), dietro gli scarpini scagliati da Ferguson contro l’ormai imborghesito David Beckham. Accettare la corte dello United e il bagno d’umiltà che Ferguson impone ai giocatori, avrebbe garantito un salto di qualità nella maturazione non solo calcistica di Balotelli. Un’occasione persa. ECL
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