Marcelo Bielsa
Marcelo Bielsa
Marcelo Bielsa

Soprannominato ‘el loco’, Marcelo Bielsa più che un pazzo è un grande allenatore. Di quelli veri, che non lasciano nulla al caso e danno un’impronta netta alla squadra allenata. Non solo. Bielsa è un personaggio affascinante: uomo d’altri tempi, intransigente (innanzitutto con se stesso), rigido, onesto, poco diplomatico, non incline al compromesso, di parola. E proprio per un impegno verbale già preso con Josu Urrutia, appena eletto dall’assemblea dei soci alla presidenza dell’Athletic Bilbao, poche settimane fa Bielsa aveva rifiutato la panchina dell’Inter e la prospettiva di allenare una squadra già qualificata alla fase a gironi della Champions League 2011-12 con giocatori del calibro di Eto’o, Sneijder, Lucio. Anche nelle modalità del rifiuto, nessun commento pubblico ma solo una lettera (riservata) inviata al club milanese, il tecnico argentino ha confermato che non è mitologia quella che lo vuole mai conforme ai cliché e alle prassi in voga nel mondo del calcio. Come quella delle interviste esclusive: “Non ne concederò mai, parlerò solo in conferenza stampa, davanti a tutti: perché ogni mezzo di informazione merità la stessa attenzione, dal canale televisivo più importante alla testata locale più piccola”.
Chiusa a 25 anni una brevissima carriera da calciatore, studia subito da tecnico. Nel 1989, a 34 anni, è l’allenatore capo del Newell’s Old Boys, la squadra dove aveva esordito come difensore con tanta grinta e poco talento. Da allenatore l’impatto è ben altro: nel 1992 il Newell’s raggiunge la finale di Coppa Libertadores, poi persa 3-2 ai rigori contro il San Paolo (che avrebbe vinto due anni di fila l’allora Coppa Intercontinentale contro Barcellona e Milan). Da tecnico Bielsa dimostra immediatamente di avere una marcia in più. Se da giocatore il suo calcio era molto scolastico e limitato, da allenatore si rivela un visionario. Le esperienze in Messico, poi nuovamente in patria col Velez, e quella fugace in Spagna alla guida dell’Espanol ne completano il bagaglio. Ormai è il prodotto finito. Nel 1998 la Federazione argentina lo sceglie come sostituto del ct Daniel Passarella. Difficile immaginare un cambio più traumatico. Un ciclone si abbatte su stampa e giocatori: arrivano il 3-3-1-3, gli allenamenti differenziati per reparti, le esclusioni eccellenti (da Riquelme a Batistuta), la pretesa di pensare e costruire il gioco e non adagiarsi sulle sole qualità tecniche. Una rivoluzione. Che spacca in due l’Argentina: tifosi, stampa e giocatori sono divisi tra chi lo adora e chi lo considera un pazzo da fermare al più presto. Ma a lasciare la panchina è lui: elimnato al primo turno nei Mondiali 2002, si riscatta col successo nelle Olimpiadi del 2004 e guida l’Argentina alla qualificazione ai mondiali del 2006, per dimettersi prima del torneo.
Dopo tre anni di sosta forzata ritorna in azione alla guida della nazionale cilena. La minor pressione gli consente di imporre, stavolta con maggior successo, metodi e schemi già sperimentati con l’Argentina. Bielsa riesce a portare il Cile a livelli di gioco mai visti prima. E il 3-3-1-3 così sbeffeggiato in precedenza diventa il suo trademark. Se la filosofia di fondo è portare il gioco il più possibile nella metà campo avversaria, gli strumenti sono pressing, difesa alta e uno schema flessibile. Il numero di difensori varia al variare delle punte avversarie: se ce n’è una, in difesa giocano in due; se gli attaccanti da controllare sono tre, i difensori diventano quattro, in modo che sia sempre garantita la superiorità numerica in quella zona del campo. Ma la vera originalità di Bielsa sta nell’impostazione complessiva del centrocampo: un giocatore di contenimento davanti alla difesa, capace di dare copertura ai due difensori laterali chiamati – alternandosi – ad andare in avanti, appoggiando ma non sopravvanzando i laterali di centrocampo; i laterali del rombo non sono vere ali piuttosto degli interni, chiamati a creare gioco, tagliare in diagonale per evitare di restare confinati sull’ala (dove i movimenti sono più prevedibili). L’apporto creativo richiesto agli interni va ad aggiungersi a quello del vertice alto del rombo (il rifinitore), che viene così alleggerito del peso di dover supportare in esclusiva l’intera fase offensiva. Tre creatori di gioco a centrocampo, con tre punte (mai in linea) davanti: questo è il vero tratto distintivo del gioco di Bielsa. Più che nuovi giocatori Urrutia dovrà garantire all’ex ct del Cile il tempo necessario per plasmare la squadra secondo le sue idee. Basterà per fare dell’Athletic il guastatore più affascinante nel duopolio Barca-Real. ECL AMERICA


La finale della Coppa Libertadores 1992

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