

Non è vero che è ancora troppo presto per esprimere un giudizio sull’affare Bonucci. E su chi ci ha guadagnato. Arrivato al Milan dalla Juventus per 42 milioni di euro, l’ex difensore centrale bianconero ha strappato un accordo eccezionale: cinque anni di contratto, quasi dieci milioni a stagione coi bonus; il 19, numero di maglia preferito, sottratto al compagno Kessie; presentazione da Neymar e accoglienza degna di Beckenbauer. Non male per un giocatore di 30 anni, che senza aver mai indossato la maglia rossonera è riuscito ad ottenere pure la fascia di capitano.
Pretendere da contratto quei riconoscimenti che i leader sono abituati a ricevere con comportamenti e prestazioni non poteva che mettere sotto i riflettori ogni azione, ogni commento, in campo e fuori, dell’ex difensore bianconero, che si è presentato come condottiero a stampa e tifosi: “Nulla è impossibile. Io arrivo per iniziare a scrivere una nuova pagina della storia rossonera e della mia carriera”.
La società ha voluto identificare in lui il nuovo corso cinese. Una scelta che più che una dichiarazione di guerra, è apparsa una certificazione della subalternità del Milan alla Juventus, coi milanisti paghi di avere strappato un giocatore simbolo, quasi quella fosse una vittoria in sé. In verità il Milan non ha strappato nessuno. Perché non ha neanche sfiorato i Dybala o gli Higuain, non avrebbe potuto, ha preso chi gli è stato fatto prendere: Bonucci.
Non si parla di un brocco ma del perno della difesa della nazionale: al suo meglio un ottimo regista difensivo, non un fuoriclasse. Per capirsi: un Costacurta, non certo Baresi. Ma se ti presenti e pretendi uno status da Baresi allora devi accettare il confronto e porti a casa i giudizi. Anche quelli più impietosi che hanno messo in evidenza come al primo serio ostacolo stagionale il Milan sia franato: 4-1 all’Olimpico contro la Lazio. Risultato pesante ma ci può stare: una squadra solida, brillante ma senza fronzoli come Lazio è un cliente duro per chiunque, figurarsi per un cantiere aperto come il Milan di questo avvio di stagione. L’alibi può essere concesso a Montella, non certo al “suo” capitano, inizialmente incapace di arginare gli attacchi biancocelesti, poi protagonista e uomo immagine dell’imbarcata rossonera. Immobile lo ha ridicolizzato in area e in campo aperto, saltandolo come un paletto di slalom. Niente di trascendentale o irriverente, ma anche un dribbling in velocità può essere indigesto a chi si presenta come il maestro della difesa e viene asfaltato come un pulcino. Solo così si può spiegare la reazione stizzita del capitano milanista, che a fine gara ha spiegato al compagno di nazionale che “certe cose non si fanno”. A cosa alludeva? Alla mancanza di riguardo verso un giocatore che ha già dato il meglio di sé?
Baresi, uno che ha ricevuto la fascia di capitano a vent’anni, non aveva bisogno di parlare per intimidire gli avversari o vedersi riconosciuta autorità da allenatore e compagni: gli attaccanti gli giravano alla larga perché da lì non si passava e chi ci provava gli rimbalzava addosso. A compagni e allenatore bastava guardarlo per essere rassicurati. Con Bonucci tutt’altra storia: ha preteso tanto, tantissimo, ha ottenuto tutto. Eppure ha sostenuto che bisognava “avere le palle” per andare al Milan. Se continua così rischia di farle girare a tanti. Non a Torino, dove sanno bene cosa perdevano. LECHAMPIONS EUROPA