John W. Henry, 61enne proprietario dei Boston Red Sox, dovrebbe diventarlo anche del Liverpool football club. Dovrebbe. 

L’accordo, sulla base di 300 milioni di sterline, è stato raggiunto con l’attuale dirigenza del club inglese ma non con i proprietari: il duo americano Tom Hicks e George Gillett. dopo aver acquistato la società nel febbraio 2007, si erano presentati con proclami altisonanti: “Onoreremo l’eredità di questo grande club. Ne conosciamo la storia e lo riporteremo a essere il numero uno al mondo. Costruiremo uno stadio all’altezza per competere con le altre grandi del pianeta come Manchester United e Real Madrid e svilupperemo il merchandising con l’Asia e l’America. Febbraio 2007: arriva il duo Gillett-HicksTutto senza indebitare la società, ovviamente”. Ovviamente. Neanche il tempo di finire la conferenza stampa che già i due si erano infilati in un tunnel di operazioni che avrebbero poi esposto i reds al rischio della bancarotta: progettare un nuovo stadio; ottenere l’autorizzazione e poi dimostrare di non avere i soldi per poterlo nemmeno iniziare; contrarre un mutuo di 282 milioni di sterline che richiedeva il pagamento di 30 milioni annui di soli interessi; spingere la Carlsberg, sponsor dal 1992, a non rinnovare l’accordo; contattare nuovi allenatori (Klinsmann) senza riuscire a far andare via i vecchi. Una gestione confusa e spregiudicata che anziché migliorare ha peggiorato la situazione finanziaria della società, al punto da spingere la scorsa primavera a Royal Bank of Scotland, la banca creditrice, a cambiare i vertici societari. Intesi come dirigenti.
Un vero e proprio commissariamento, anche se è stato poi presentato come una scelta condivisa. In realtà dietro c’era l’aut aut: “Non siete in grado di pagare i vostri debiti, né sembrate intenzionati a vendere la società, allora i dirigenti li scegliamo noi e diciamo noi cosa fare per favorire la vendita”. Nell’ordine: risolvere il contratto con Benitez; chiamare un tecnico di minori pretese; non impoverire il patrimonio giocatori (vale a dire: tenere Gerrard e Torres). Per eseguire il piano sono stati nominati Martin Broughton alla presidenza, Christian Purslow come direttore generale e Ian Ayre come direttore commerciale. Presenze sgradite alla proprietà. Alla vigilia del consiglio di amministrazione di ieri sera, Hicks e Gillett hanno cercato di far votare la sostituzione di Purslow e Ayre con Mack Hicks e Lori Kay McCutcheon, rispettivamente figlio e dipendente di Hicks, in modo da riconquistare la maggioranza nel consiglio e avere l’ultima parola sulla cessione della società. Il tentativo è stato sventato: i due più Broughton hanno ovviamente votato contro la propria cacciata. Poi è seguito il via libera all’accordo con Henry.
Sulla cessione si dovrà pronunciare anche un giudice. L’accordo di vendita prevede il pagamento di tutti i debiti della società ma nemmeno un centesimo al duo che quei debiti ha creato. Da qui la reazione, scontata, di Hicks e Gillett. Il punto è tutto qui: il Liverpool di chi è? Della banca (creditrice) o dei due compari (debitori)? Inevitabile la causa legale. Che sarà durissima come preannunciato dal presidente Broughton: “Un peccato aver dovuto constatare l’ostruzionismo dei proprietari, che hanno fatto di tutto per far saltare la cessione. Anche noi saremo costretti a perseguire in tribunale il loro comportamento e i danni che ne sono derivati. Abbiamo chiuso un affare ottimo per il Liverpool: la società non avrà più debiti e potrà finalmente dedicarsi a rafforzare la squadra, come necessario”. L’accordo per diventare esecutivo attende la ratifica della Premier League, che potrebbe essere subordinata all’eventuale decisione in sede giudiziaria.
Il cuore di Anfield: il gruppo Spirit of ShanklyUna saga che conferma uno dei postulati calcistici più solidi: squadra e società sono una cosa sola. Se questo vale ovunque, in nessun posto è evidente come a Liverpool. Nessuna separazione tra i disastri che si susseguono in campo e fuori. La squadra, che alla ripresa del campionato affronterà a Goodison Park il derby con l’Everton, è in caduta libera. Houllier prima e Benitez poi avevano fatto capire di non poter mai riportare il Liverpool – in pianta stabile – agli antichi splendori. Né al vertice del calcio inglese (l’ultimo titolo è del 1990, targato Kenny Dalglish) né di quello europeo (anche se le due finali di Champions League raggiunte sotto Rafa Benitez sembrano contraddire questa affermazione). Ma l’avvio della gestione Hodgson è stato così disastroso (fuori dalla Coppa di Lega e terz’ultimi in campionato) da spingere i fan a rivalutare i predecessori.
L’entusiasmo ad Anfield è sotto lo zero. E anche l’arrivo della “New England Sports Ventures”, società proprietaria dei Boston Red Sox, ma anche di New England Sports Network, Fenway Sports Group e Rousch Fenway Racing, suscita più dubbi e paure che sollievo: “L’esperienza nel mondo del baseball e delle corse automobilistiche non significano nulla. Il calcio è un’altra cosa”. “Ancora americani?”. “Comunque è già un bene che Hicks e Gillett non ci siano più”. “Vogliamo vederli all’opera, per quel che si sa non si parla più di stadio nuovo”. Infatti Henry vorrebbe ripetere con Anfield quanto fatto a Fenwick Park, casa storica dei Red Sox: nessuno stadio nuovo ma ammoderamento e ampliamento del vecchio.
Henry è un’incognita ma non potrà far peggio di chi l’ha preceduto. Si è arricchito con gli hedge funds (patrimonio stimato: 600 milioni di euro), ha riportato i Boston Red Sox al successo nelle World Series dopo 86 anni e lo scorso anno ha vinto la 500 miglia di Daytona. Aver sconfitto la “maledizione di Babe”, potrebbe però rivlearsi meno difficile del gestire l’eredità di Shankly e Paisley. ECL

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