Li aspettano al varco. Presidente, allenatore e giocatori del Real Madrid sanno bene di essere nel mirino di critici e tifosi.

Manuel PellegriniI NUOVI GALATTICI. La cosa non sembra intimorirli, anzi. Dopo il ritorno di Florentino Perez alla presidenza dello scorso giugno, al Bernabeu non si è nascosto nessuno. Anche le presentazioni sono diventate galattiche: quasi centomila persone venute a vedere Cristiano Ronaldo che firmava autografi.
E’ l’immagine di una campagna acquisti che, per una volta, definire faraonica non è esagerato. Una strategia di mercato contestata, giudicata immorale, che però ha già mietuto una prima vittima: il Barcellona. All’acquisto di Kakà, il presidente del Barca Laporta aveva replicato opponendo la filosofia blaugrana che punta a costruire in casa l’ossatura della squadra. Ma i successivi arrivi di Cristiano Ronaldo e Benzema lo hanno “obbligato” a seguire la stessa strada, pagando quasi cinquanta milioni di euro più Eto’o (follia pura), per portare al Camp Nou Zlatan Ibrahimovich. Ma il Real ha continuato e ha preso dal Liverpool il terzino destro Alvaro Arbeloa e il regista Xabi Alonso, e ora prepara l’ultimo assalto al Bayern per Franck Ribery.
Le merengues continuano a fare incetta di attaccanti e mezzepunte, ma non sembrano interessate a rinforzare gli altri reparti. Più che un’idea, quella di Perez sembra una sindrome: riappropriarsi del suo passato, ricreare i galacticos, aggiungendo stelle a stelle. Il fantacalcio che diventa realtà.
SECONDA SCELTA. Ma il gioco del pallone ha le sue regole e i suoi equilibri e il vero colpo da maestro di Perez (ma ancora non gli è stato riconosciuto) è stata la scelta di affidare la panchina a Manuel Pellegrini. In verità il cileno è una “seconda scelta”. La prima puntava dritta sull’unica persona finora capace di dire no ai milioni di Perez: Arsene Wenger.
“Avrei rinnegato me stesso. Andarmene avrebbe significato non completare il lavoro iniziato all’Arsenal. Ho formato io questa squadra, sta crescendo e voglio portarla a raggiungere gli obiettivi di gioco e risultati che ci siamo prefissati. Non potevo interrompere questo lavoro. Chiarisco: il mio no non ha nulla a che vedere con la condotta del Real. Loro non hanno sbagliato nulla con me, semplicemente non potevo lasciare l’Arsenal”.
Dopo lui nella lista del duo Perez-Valdano non c’erano gli scontati e autocandidati Mourinho e Ancelotti ma Pellegrini, il tecnico che tra il 2004 il 2009 ha saputo portare il Villareal a posizioni di vertice in Spagna e in Europa. Per vincere la Liga e la Champions League serviva uno così, in grado di mandare in campo una squadra solida e quadrata ma in grado di dar sempre spettacolo. E di trovare le giuste motivazioni per reggere il confronto con avversari sempre motivati e caricati dalla voglia di dimostrare l’assurdità di un divario economico così grande tra loro e i colleghi-avversari del Real, nella speranza nemmeno troppo nascosta di riuscire un giorno a entrare in quel club.
CARISMA. Se questa è la missione, Pellegrini è l’uomo giusto. Solo chi non lo conosce può pensare che non abbia il carisma necessario per dominare uno spogliatoio così pieno di primedonne da sembrare un camerino.
Dopo una carriera da calciatore trascorsa dal 1973 al 1986 con l’Universidad de Chile, l’unica in cui ha militato, si è costruito in vent’anni quella da allenatore cambiando squadra, Paese, continente. Ha iniziato in patria con Universidad de Chile, Palestino, O’Higgins, Universidad Católica; poi LDU Quito in Equador; San Lorenzo e River Plate in Argentina. Nel 2004 lo sbarco in Europa sulla panchina del Villarreal, dove è rimasto sino al primo giugno di quest’anno, quando gli è stata affidata la guida tecnica del Real Madrid.
Nei confronti del nuovo Real Madrid non ci sono mezze misure. C’è chi pensa che vincerà tutto: quando puoi schierare contemporaneamente Cristiano Ronaldo, Kakà e Benzema, non esiste difesa al mondo in grado di difendere efficacemente su tutti. E c’è chi al contrario ritiene (spera?) che le lacune di centrocampo e difesa si faranno sentire e annulleranno quanto di buono verrà fatto in avanti. Tutto molto netto: bianco o nero, senza spazio per i grigi. Del resto le mezze misure non sono mai andate di moda al Bernabeu men che mai in tempi di galacticos e merchandising organizzato su scala planetaria. In questo contesto abbagliante e volutamente chiassoso si inserisce l’ingegner Pellegrini.
L’INGEGNERE. Titolo di studio ottenuto mentre giocava e diventato poi un soprannome. “Il calcio non è una partita a scacchi, è qualcosa di dinamico. Tutte le mie squadre hanno sempre avuto un’impronta di gioco chiara, con compiti precisi per ogni giocatore e un bilanciamento tra difesa e attacco, che non sia basato sul numero degli uomini ma sulle zone di campo coperte da ciascuno, con la massima libertà di espressione negli ultimi 25 metri”. Il discorso è chiaro: trasformare una collezione di individualisti in un collettivo capace di giocare, vincere e divertire è compito mio, fare i gol è dovere e merito dei giocatori.
Pellegrini, un’intera carriera da difensore, sarà la vera sorpresa della stagione madridista. Perché ancora più delle sue capacità progettuali emergeranno quelle di abile psicologo, affinate con letture e “soprattutto la partecipazione a tanti corsi”: “Un allenatore deve saper trattare con le persone, perché deve trasmettere messaggi ai giocatori. Deve sapere come imporsi, rendendosi accessibile. Deve capire la personalità di ciascun giocatore per sapere quali corde toccare per motivarlo al meglio, criticandolo o caricandolo. Ognuno è diverso e per tirare fuori il meglio bisogna modulare comportamenti e parole di conseguenza”. Che lo sappia fare lo ha dimostrato al Villareal rilanciando le carriere di stelle appannate come Riquelme o Forlan o in declino come Pires. Giocatori di classe e personalità rimessi in piedi da Pellegrini.
FANTASIA SULLE FASCE. In pochi giorni il tecnico cileno è già riuscito nella stessa operazione con Wesley Sneijder. Quello che Johan Cruyff considerava il miglior giocatore olandese della sua generazione e che Van Gaal pretende come contropartita (assieme a Arijen Robben) per lasciar andare Ribery, finora al Real ha fatto vedere solo sprazzi del suo enorme talento. Da tutti considerato sicuro partente è stato dichiarato incedibile da Pellegrini (che dovrà però piegarsi se Perez e Zidane riusciranno nell’intento di portare l’attaccante del Bayern al Bernabeu già quest’anno): “Sneijder è un giocatore in cui credo e che fa parte dei miei piani. A centrocampo non abbiamo un giocatore con le sue caratterstiche”. L’idea originale era dare all’olandese e a Xabi Alonso il compito di lanciare le stelle dell’attacco. “Le mie squadre hanno di solito due giocatori a protezione della difesa e due creatori sulle fasce”. Non ali di ruolo ma mezzale. Un po’ quel che faceva Mondonico nel Torino con Martin Vasquez sul centrosinistra e Vincenzino Scifo sul centrodestra. Ma questo progetto fisarmonica (4-2-2-2 che diventa 4-4-2) potrebbe scontrarsi con quello di Perez che “pretende” la riedizione del 4-2-3-1 elaborato da Vicente del Bosque per accomodare Zidane, Figo, Raul davanti a Makelele e Helguera, dietro a Morientes e poi a Ronaldo. Se trovare un alter-Helguera è agevole (Mahamadou Diarra ha lo stesso passo ma è decisamente meglio), il problema è che nessuno può garantire quel che faceva allora Makelele (o Marcos Senna nel Villareal): né Lassana Diarra né Gago, nemmeno se fatti giocare assieme. Pellegrini lo sa e sta cercando di far quadrare il cerchio, con la prospettiva (non remota) di dover cominciare tutto daccapo per trovare un posto a Ribery. In quel caso a tremare sarà Raul perché la soluzione più agevole e immediata sarebbe lo spostamento di Benzema nel ruolo di punta centrale, dove potrebbe mettere a frutto l’esplosività e la progessione che in certi momenti ricordano il primo Ronaldo. Quello che vinceva i Palloni d’oro non certo quello del Corinthians, dove comunque riesca ancora ad andare a segno regolarmente. Al Real il lavoro è tanto, il materiale ottimo e in buone mani. ECL EUROPA

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