Doveva andare via. Non solo è rimasto: è tornato. 

David TrezeguetNella Juve che si fa raggiungere in casa nei minuti di recupero dal Bologna e perde la testa della serie A, l’unica nota positiva è il completo recupero del centravanti che con i suoi gol ha contrassegnato l’ultimo decennio di storia bianconera.
Sì, David Trezeguet è tornato e ha ripreso a fare il Trezeguet: tre reti nelle ultime tre apparizioni, dopo aver segnato appena un gol nelle 15 partite dello scorso anno. Stagione negativa, condizionata da un brutto infortunio e, dopo l’eliminazione dalla Champions League per mano del Chelsea, chiusa mestamente in panchina dopo uno scambio di opinioni (opposte) a mezzo stampa con Claudio Ranieri. “Non ho capito il cambio, in quel momento c’era bisogno di osare. Ma l’allenatore non ha voluto”. “Trezeguet è un bambino viziato. In quel momento eravamo in nove in campo, perché lui aveva toccato sei palloni. Allora ho messo Amauri in modo che corresse insieme agli altri”. Per Trezeguet, subito accantonato, la stagione finisce praticamente in quel momento, per Ranieri più avanti. Dopo l’eliminazione dalla Coppa il ruolino di marcia bianconero in campionato è così disastroso che per frenare la frana, a due giornate dalla fine, Ranieri viene sostituito con Ciro Ferrara e arrivano due vittorie e la qualificazione in Champions League. La Juventus mette Trezeguet sul mercato, lui, lusingato dalle attenzioni di Lione e Milan, dopo qualche settimana si tira fuori: “Rimango qui. Ci ho pensato a lungo e ho deciso così. E per questo ringrazio anche i compagni e l’allenatore. Ho segnato 161 reti con questa maglia, voglio conquistare lo scudetto e il record di un campione, che per me rappresenta molto, come Omar Sivori”. L’argentino con 167 gol è il miglior marcatore straniero della storia bianconera.
Ma quello che sino a un anno prima era indiscutibilmente il centravanti titolare, nelle nuove gerarchie sta dietro Amauri, Iaquinta, Del Piero, anche se Ferrara non perde occasione per sottolinearne impegno e importanza.
Ma non c’è niente che dia fiducia e aiuti un centravanti a recuperare condizione come segnare. La marcatura che ha dato il vantaggio alla Juventus contro il Bologna è il classico gol che distingue i bomber di razza dagli altri giocatori: Zebina sulla destra entra in area, salta uno, due avversari, tira sul portiere in uscita, la palla colpisce Viviano si impenna, scavalca Amauri e i due difensori del Bologna che lo marcano a sandiwich, incollato alle loro spalle sbuca Trezeguet: il numero 17 bianconero frena impercettibilmente, il tanto giusto di sollevare il destro, crearsi lo spazio per la conclusione, togliendolo a stomaco e ascella, e dall’altezza dell’ombelico mette di piatto nella porta vuota. Uno a zero.
Tre giorni prima a Marassi contro il Genoa si era vista la stessa cosa. Entrato in campo all’82’ al posto di Amauri, con i bianconeri sotto 2-1 dopo una partita controllata in lungo e in largo (un’impresa contro il Genoa di Gasperini), Trezeguet all’86’ anticipa il portiere avversario Amelia e il compagno Poulsen, mettendo in rete di testa una palla allungata da Chiellini sul secondo palo. Due a due, grazie a una conclusione da trenta-quaranta centrimetri, non di più. Certamente non un gol che possa rimanere impresso a lungo nella memoria. Negli anni nessuno ricorderà come è arrivato ma grazie a chi è arrivato.
E’ la dote di questo genere di goleador: non lasciar traccia nelle sigle televisive ma negli almanacchi. Le statistiche testimoniano la loro bravura, anche se non spiegano la capacità di incrociare nell’area piccola il proprio cammino con quello del pallone, individuare nel traffico il tragitto della palla e farsi trovare lì per indirizzarla verso la rete. Un’operazione così chirurgica, così abituale da far pensare il contrario: che non sia il centravanti ad andare incontro alla palla ma quella a cercare lui per nobilitarsi, dopo una serie di giocate confuse o imprecise.
Sono i gol brutti, esteticamente insignificanti, che hanno reso leggendari Gerd Muller e Jimmy Greaves. Due che hanno fatto inserire nei report di valutazione di un attaccante la voce “opportunismo” accanto a “colpo di testa”, “destro”, “sinistro”, “controllo di palla”, “tiro”. Una qualità insomma, e non un eufemismo utile a coprire giocatori tecnicamente limitati.
I gol degli opportunisti sono quelli che non restano impressi nella mente ma nei tabellini. Gol raramente belli, però costanti, pesanti, che fanno classifica. Più che le giocate ti ricordi le situazioni: distanza ravvicinata, palla vagante, testa, sinistro, destro, stinco, coscia, petto. Qualunque parte del corpo è ammessa e tutti i gol salutati con la stessa sfrenata esultanza. 
I gol da antologia vengono lasciati ai geni, i grandi exploit agli altri, capaci di siglare triplette o poker e poi restare a secco per due mesi. I Muller, i Greaves, i Rush, i Trezeguet sono quelli del club un-gol-a-partita. 
Un’elite. Perché tanti sanno andare in rete quando la squadra gioca bene o esprime un calcio arioso in grado di aprire le difese. Ma quando la partita non si sblocca o le difese sono così chiuse da non lasciare passare niente e nessuno, questi giocatori rappresentano la differenza tra un pareggio e una vittoria di misura. Nelle partite più equilibrate l’opportunità di cambiare l’inerzia delle gare passa per rimbalzi imprevedibili o palle sporche. Saperle domare è un’arte. Spesso non riconosciuta: si dice opportunisti, predatori, finalizzatori, ma si pensa parassiti. Giocatori senza talento che campano sulle disgrazie altrui. Quasi fosse un torto non partecipare alla costruzione ma limitarsi a sublimare il lavoro altrui dandogli la giusta conclusione.
La pressione sulle spalle di questi attaccanti non è solo quella delle difese ma anche quella dei compagni che si spaccano in due anche per loro e che non possono, non devono, permettersi di deludere.
Autentici fuoriclasse. Perché se tocchi tre-quattro palloni a partita e segni un gol nessun altro in squadra può dirsi più vincente e essenziale di te. E costruire una carriera toccando così pochi palloni richiede talento. Ma anche all’interno della genia dei rapaci ci sono delle differenze. Filippo Inzaghi è il classico centravanti che non può fare a meno dell’errore avversario e, sapendolo, fa di tutto per indurlo. Spesso ci riesce e lo sanziona con puntualità, nonostante una tecnica che con generosità si può definire mediocre. Samuel Eto’o è la versione atleticamente e tecnicamente evoluta e migliorata di questo tipo di centravanti. David Trezeguet invece dà più respiro ai difensori avversari: non è sempre lì a cercare sistematicamente la linea del fuorigioco o a pressarli su ogni passaggio in orizzontale. Però è lì: se l’errore arriva, anche se non lui non contribuisce a procurarlo, saprà punirlo. E se non arriva, a differenza di Inzaghi e in comune con Eto’o, Trezeguet ha le armi atletiche e tecniche per crearsi il gol. Buon colpo di testa, ottima coordinazione, e soprattutto la capacità di tenere bassa la palla colpendola in allungo. Un vero marchio di fabbrica del francese. Allungarsi il pallone al momento del tiro di dieci-venti centrimetri è spesso vitale per evitare la “stoppata”  del difensore. Ma agli altri centravanti questa giocata richiede uno-due passi in più, per recuperare la giusta distanza tra sé e la palla, per evitare di colpirla troppo sotto mandandola alta, o troppo esterna spendendola fuori. Una giocata che si è rivista proprio contro il Bologna al 12° minuto: lancio di trenta metri di Camoranesi, Trezeguet che sbuca al centro della difesa bolognese e di petto si allunga la palla sulla destra, anziché aggiustarsi il pallone con un secondo tocco o anticipare la conclusione, lo lascia scorrere, rimbalzare due volte, evita così la gamba distesa del difensore uruguagio Britos, per poi colpire di collo pieno, basso centrale che quasi prende in contropiede il numero uno rossoblu che andava a coprire il primo palo. Conclusione perfetta, respinta a fatica da Viviano che recuperava in tempo il centro della porta. Se i gol segnati a Lazio e Genoa dicono che l’istinto è sempre lì, questo spunto è la prova del giocatore ritrovato. Non a caso qualche minuto più tardi arriverà anche il gol.
Nonostante l’ostracismo del ct francese Domenech, Trezeguet rimane un giocatore di statura internazionale e la sfida di Champions League con il Bayern Monaco all’Allianz Arena, sotto gli occhi di Gerd Muller, è l’occasione giusta, la platea propizia, per riproporsi alla ribalta che più gli appartiene. ECL

gs@lechampions.it

David Trézéguet
Nato il 15 ottobre 1977 a Rouen (Francia)
Ruolo
Centravanti
Squadre 
1993-1995  Platense (Argentina) 5 presenze, 0 gol
1995-2000  Monaco (Francia) 114 presenze, 60 gol
2000-2009  Juventus (Italia) 296 presenze, 164 gol
Nazionale
Francia 71 presenze, 34 gol
Titoli
Campione del Mondo 1998
Campione d’Europa 2000
Campionato francese: 2 (1996-97, 1999-00)
Campionato italiano: 2 (2001-02, 2002-03)
Campionato di serie B italiana: 1 (2006-07)
Supercoppa italiana: 2 (2002, 2003)

Alcuni dei gol segnati da Trezeguet nei club e in nazionale
{qtube vid:=qvJAmh65RNg}

©LECHAMPIONS.it. Tutti i diritti riservati/All rights reserved.