Per il Milan perdere 4-2 a Torino contro la Juventus ci può stare. Ci può stare perché i bianconeri sono una buona squadra, organizzata, determinata e con la consapevolezza di forza e limiti. Che gli consente di non affondare se in difficoltà e di vincere appena si presenta l’opportunità.
I bianconeri vengono definiti una squadra operaia e questa è stata l’accusa mossa a inizio stagione, anche dai tifosi, a Claudio Ranieri per aver preferito il muscolare Poulsen al mercuriale Xabi Alonso. Nessuno si sogna adesso di rispolverare l’argomento: il centrocampo bianconero chiude gli spazi meglio di qualunque altro nel campionato italiano, e grazie a Sissoko e Poulsen è anche quello che recupera più palloni, circostanza che consente ai Nedved, Camoranesi, Del Piero e Amauri di essere sempre chiamati in causa. Nessun attacco in serie A è così coinvolto nella manovra di squadra. La distanza tra i reparti è sempre minima, merito questo soprattutto della coppia centrale Chiellini-Legrottaglie, che per efficacia ricorda quella Ferrara-Montero.
Perdere contro una squadra così è possibile. Non dovrebbe esserlo se lo scudetto è «il primo obiettivo stagionale» (Adriano Galliani) e prima della gara sei già a -6 dall’Inter. La Juventus ha svelato il bluff: il Milan è ancora oggi una squadra capace di brillare per 90 minuti ma sulla lunga distanza non vale i nerazzurri e nemmeno i bianconeri. E al momento rischia di perdere il confronto anche con altre. La sconfitta con la Juventus può essere lo spartiacque della stagione milanista: stagione finita o inizio della rinascita? Recuperare nove punti all’Inter sembra impossibile per una squadra come quella vista a Torino, per questo Carlo Ancelotti ha il dovere di cambiare. L’ultimo risultato e la situazione di classifica glielo impongono, a meno di prendere atto che il campionato per il Milan è già terminato prima della pausa natalizia.
A Torino i rossoneri erano fuori partita con mezz’ora ancora da giocare. Nonostante il risultato in bilico, sotto di un gol, nessuno avrebbe puntato un centesimo sulle possibilità della squadra di Ancelotti di vincere la gara. L’espulsione di Zambrotta, sul 3-2, è stata vissuta come la parola fine, come di solito accade alle “piccole” contro le “grandi”. La debacle all’Olimpico nasce da lontano. Finora solo la professionalità di allenatore e giocatori ha mascherato l’inconsistenza del Milan 2008-09. Una squadra che già in estate aveva bisogno di un portiere, un difensore centrale, due mediani, un centravanti. La risposta del duo Galliani-Braida è stata: un portiere (Abbiati: rientrato alla base dopo un’imbarazzante serie di prestiti senza riscatto), un terzino destro Zambrotta (bel colpo vanificato dalla cessione di Oddo al Bayern Monaco), un mediano (Flamini), una mezzapunta (Ronaldinho), due punte (i cavalli di ritorno Shevchenko e Borriello). Ci si aspettava il punto esclamativo sono arrivati una serie di punti interrogativi e qualche punto sospensivo.
A partire dal portiere. Christian Abbiati è stato reinventato titolare “da scudetto” dopo anni da rincalzo dietro Dida e poi sulle panchine di Juventus e Atletico Madrid. L’attuale estremo difensore rossonero non è nemmeno lontanamente paragonabile ai migliori in circolazione: Gigi Buffon, Petr Cech, Iker Casillas, Julio Cesar. E per i rossoneri lo standard dovrebbe essere quello. Nelson Dida in passato aveva dimostrato di avere le qualità per competere con quei portieri, Abbiati mai. Neanche ai tempi (d’oro) di Zaccheroni. Dida ha perso il posto da titolare nella scorsa stagione a vantaggio dell’improbabile Kalac, dopo una forma sempre più scadente e una serie di papere lunga un anno e mezzo. Un ex giocatore che però nell’ultima sfida di Coppa Italia persa dai rossoneri contro la Lazio ai supplementari è stato il migliore dei suoi, con una serie di parate e di uscite aeree da vero dominatore dell’area di rigore. Una prestazione sorprendente da chi sembrava ormai perduto a questi livelli. Quello delle uscite alte è uno dei limiti più grandi di Abbiati, reso ancora più grave dall’inconsistenza dei suoi difensori sui cross (vedi contro Lecce, Palermo e Juventus). Il Milan non può permettersi un portiere che sulle palle alte non stacca i piedi dalla linea di porta, se non per raccogliere il pallone in rete. Quando non cerchi di acquistare Cech, hai il dovere di recuperare Dida.
Sulla solidità dei quattro in linea dietro il Milan ha costruito tutti i successi degli ultimi vent’anni. Zambrotta-Maldini-Kaladze-Jankulovski è un quartetto che suona bene solo sulla carta. Li vedi in campo ed è un fiorire di falle. Spesso e volentieri Kaladze deve chiudere sull’uomo lasciato dai compagni di linea, con la conseguenza che non ne marca nessuno: esemplare il colpo di testa vincente di Amauri. Mettere in panchina un monumento vivente come Paolo Maldini è difficile, ma allungargli la carriera per esporlo a brutte figure così non è stata una scelta opportuna. Poteva e doveva essere consigliato meglio. Giocatori di questa levatura non meritano l’onta dell’accantonamento, ma qui è arrivata l’ora. Assente cronico Nesta, se Senderos non è in grado di prendere il posto di un Paolo Maldini così in difficoltà non si capisce la ragione del suo acquisto.
A centrocampo Flamini è stato strappato all’Arsenal con squilli di tromba ingiustificati per un operaio come tanti. La quantità garantita da Gattuso e Ambrosini è unica perché accoppiata a qualità agonistiche e tecniche (come i colpi di testa di Ambrosini), non possedute dall’interno sinistro di Wenger. Il transalpino rimane un’alternativa dignitosa, proprio quello che non è più Emerson: dal suo arrivo a Milano ogni presenza del brasiliano in campo è un mistero. Veloce non è mai stato, nemmeno nei giorni migliori con Bayer Leverkusen, Roma e Juventus, ma allora almeno si muoveva. Movimenti minimi che gli consentivano di liberarsi dall’avversario di quei 5-10 metri, necessari a dettare il passaggio al compagno per ricevere il pallone e impostare il gioco. L’intelligenza tattica di Emerson è intatta ma non è possibile apprezzarla perché l’ex nazionale verdeoro non è in grado nemmeno di vederlo il pallone, altro che impostare e dettare i tempi.
Andrea Pirlo è stato negli ultimi cinque anni il migliore regista del mondo. In questa stagione con lui in campo il Milan ha sempre perso e pareggiato in una sola occasione. La sua presenza in campo è un omaggio al passato. Quando Ancelotti lo ha sostituito con Seedorf la squadra ne ha beneficiato: l’olandese come il vino migliora invecchiando e nel ruolo di centrale ha un futuro. Di certo, visto il Pirlo attuale, dovrebbe avere un presente. Lo spostamento consentirebbe ad Ancelotti di preservare l’albero di Natale con Kakà e Ronaldinho alle spalle di Pato o Borriello.
Anche in attacco i problemi derivanti dalla condizione fisica approssimativa di Ronaldinho sono evidenti: il numero 80, dopo quasi quattro mesi, gioca ancora da fermo; calci piazzati e assist (come quello di ieri per il gol di Pato) sono spesso da applausi, ma nello scacchiere tattico il suo binario è una autostrada per gli avversari, in entrambi i sensi di marcia. Pato ha talento da vendere e vista l’età gli si può chiedere tutto: seconda punta in un attacco a due, centravanti nello schema a una punta, rifinitore, punta laterale nel tridente. Il problema è che viene utilizzato quasi sempre come unica punta centrale, posizione in cui lui rende meglio se lanciato in contropiede, mentre invece – vista la lentezza dei compagni nell’impostazione – gioca sempre a difesa schierata spalle alla porta (situazione ideale invece per Borriello). Pato è una freccia utilizzata come bastone da passeggio. Uno spreco. In una squadra così poco dinamica non si capisce come pensare che Inzaghi e Shevchenko possano trovare posto o, addirittura dare una mano. Problemi fisici e di fiducia condizionano il rendimento di entrambi, al punto che nessuno dei due è attualmente un’alternativa credibile ai titolari. Rimane Kakà. Il Pallone d’oro 2007 è un fuoriclasse che da solo è in grado di mascherare tutte le carenze della squadra: finora era lui la differenza tra una squadra da scudetto e una da quarto posto. Con compagni in queste condizioni è a rischio anche l’Uefa.
A gennaio arriva David Beckham e Ancelotti dopo il ko torinese dice che «il suo arrivo, vista la situazione, è ancora più importante». L’impressione è che il tecnico rossonero non veda partite dell’inglese da 4-5 anni. Beckham in campo non corre, sfila. L’ala-mediano ammirata nel Manchester United non c’è più da tempo. Il suo utilizzo prolungato è un errore che è costato la panchina della nazionale inglese a Eriksson e Steve McClaren. E’ forse per gratitudine che Fabio Capello lo ha consigliato al Milan. Rischia di passare alla storia come la sagoma più fotografata di Milanello. Dove ultimamente preferiscono collezionare figurine che trofei. ECL EUROPA
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