Può un colonnello essere riverito più di un imperatore? Sì se la nazione è l’Ungheria e il colonnello in questione è Ferenc Puskas. Solo un gigante assoluto del calibro di Puskas poteva oscurare lo spendore della classe sublime di Florian Albert, secondo molti il giocatore più elegante della storia del calcio. Complimento non da poco. Anche perché in Albert lo stile era strettamente legato a una classe eccezionale: movenze che fondevano in un unico calciatore l’elasticità nel saltare l’uomo di Cruyff, con il controllo dei movimenti di un Gianni Rivera; non bastasse, Albert possedeva un capacità di inserimento in area, una visione di gioco e una varietà di passaggi e conclusioni, che nel calcio attuale possono ritrovarsi così concentrati solo in Andres Iniesta. Quello che è deceduto nell’ospedale di Budapest, tre giorni dopo un intervento al cuore che inizialmente si pensava riuscito, non era solo un grande ex del calcio ungherese ma una stella di prima grandezza dell’intero firmamento mondiale.
Nato a Hercegszanto il 15 settembre 1941, Albert da sùbito rappresenta l’ancora di salvezza alla quale il calcio magiaro si aggrappa dopo la fine della generazione del Cinquanta, quella appunto dei Puskas, Kocksic, Czibor, Hidegkuti, Bozsik: la Grande Ungheria, capace di umiliare i Leoni di Inghilterra (6-3 a Wembley e 7-1 al Nep Stadion di Budapest) e di dominare i Mondiali del ’54, arrivando a vele spiegate in finale con la Germania, sconfitta 8-3 nei turni precedenti, per poi perdere 3-2, dopo aver condotto 2-0 dopo appena otto minuti di gioco. Una sconfitta diventata leggenda, così come quella squadra che ha lasciato un’eredità enorme. Pesantissima. Che più che ispirare ha finito per schiacciare la generazione successiva. Con un’eccezione: Florian Albert, unico calciatore ungherese all’altezza dei predecessori.
Il passaggio del testimone non è immediato, ma appena il Ferencvaros lo fa esordire all’età di 16 anni, l’Ungheria capisce che è nata una nuova stella. Nel 1959 a 17 anni viene chiamato in nazionale e sùbito schierato contro la Svezia vicecampione del mondo uscente: l’Ungheria vince 3-2 e due assist portano la firma del giovanissimo talento di Hercegszanto. Se prima della Rivoluzione del ’56 a livello di club il calcio ungherese era l’Honved, con l’esplosione di Florian Albert la stella polare diventa il Ferencvaros.
Con la maglia della nazionale Albert fa magie a livello mondiale: guida l’Ungheria alla conquista del bronzo alle Olimpiadi di Roma del 1960 e agli Europei del 1964; dà lezioni di gioco a Inghilterra e Polonia nel Mondiale del Cile del 1962, conquistando il titolo di capocannoniere ex aequo con 4 reti, prima di venir eliminato di misura dai futuri vicecampioni del mondo della Cecoslovacchia; incanta il Regno Unito durante il mondiale del 1966, dove l’Ungheria si prende la soddisfazione di superare 3-1 il Brasile campione del mondo in carica. Se possibile ancora più impressionanti sono i traguardi cui guida l’unico club di tutta la sua carriera: il Ferencvaros tra il 1963 e il 1968 conquista quattro campionati e nel 1965 una Coppa delle Fiere (superando 1-0 la Juventus, che aveva il vantaggio di giocare la finale in casa). La prima, e finora unica, coppa europea mai vinta da una squadra ungherese arrivava al termine di una campagna che aveva visto il Ferencvaros eliminare Spartak Brno, Wiener Sportclub, Roma, e con l’aiuto dello spareggio l’Athletic Bilbao nei quarti e il Manchester United dei ‘big three’ Charlton, Law e Best in semifinale. Prestazioni e risultati che nel 1967 ‘obbligano’ un riconoscimento che sarebbe potuto arrivare da almeno un paio d’anni: il Pallone d’oro. Primo giocatore dell’Est a vincerlo dopo il grande Lev Yashin. Un premio individuale che Albert dimostra di meritare ampiamente portando il Ferencvaros nuovamente in finale di Coppa delle Fiere nel 1968, persa di misura contro il Leeds di Don Revie (1-0 e 0-0), dopo aver eliminato nell’ordine Arges Pitesti, Real Saragozza, Liverpool, Athletic Bilbao e in semifinale il Bologna di Marino Perani e Giacomo Bulgarelli.
L’anno dopo, il 15 giugno 1969, durante un match di qualificazione ai Mondiali del Messico contro la Danimarca, si rompe una gamba in uno scontro di gioco col portiere danese Knud Engedal. Un incidente che lo terrà lontano dai campi quasi undici mesi. Agli Europei del 1972 raggiunge il quarto posto e col Ferencvaros conquista l’unico trofeo nazionale che mancava alla sua collezione: la Coppa di Ungheria. Il 17 marzo 1974 dà l’addio al calcio giocato, entrando a partita in corso contro il Zalaegerszeg: si tratta appena della nona apparizione stagionale per Albert, sempre più limitato da problemi fisici che però non gli impediscono di trovare la via del gol anche nell’ultimo match di una carriera che lo ha visto scendere in campo 351 volte e segnare 255 reti.
Il ritorno nel mondo del calcio avviene nel 1978 quando i libici dell’Al Ahly Benghazi gli offrono la panchina. L’arrivo di Albert mette la squadra biancorossa nella mappa del calcio mondiale ma, in termini tecnici, è una scommessa senza possibilità di successo e infatti non ne avrà. Dopo l’esperienza africana ritornerà come dirigente al Ferencvaros, che nel 2007 gli intitolerà lo stadio. ECL
Florian Albert Nato Hercegszanto il 15 settembre 1941 Morto a Budapest il 31 ottobre 2011 Da giocatore Da allenatore Titoli |
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