Gary Speed non era da dieci in niente, ma almeno da sette in tutto: destro, sinistro, controllo di palla, tiro da lontano, velocità, marcatura, visione di gioco, gol. Uno di quei giocatori solidi, affidabili, dal rendimento costante, capaci di segnare gol pesanti, che raramente finiscono in prima pagina ma che ancor più di rado escono dalla prima squadra. E così si spiega una carriera durata 22 anni, sempre da titolare.
“Non ci sono circostanze sospette”. Così è scritto nel comunicato della polizia inglese che ha diffuso la notizia del suicidio di Gary Speed, ritrovato nella sua abitazione di Huntington. Lo ha scoperto all’alba la moglie, mentre i due figli di 14 e 13 anni ancora dormivano. Una tragedia. Che come tutte le morti evitabili lascia in chi resta sensazioni contrastanti, che vanno dallo smarrimento alla rabbia al senso di colpa: cos’è che non abbiamo capito?
Visto dall’esterno, nel caso di Speed non c’era nulla che facesse presagire una fine del genere. Il classico esempio di persona equilibrata, capace di coniugare al meglio vita pubblica e privata. Da giocatore era uno dei belli del campionato eppure mai finito nelle pagine di gossip, al contrario era per compagni e avversari il “professionista esemplare”. Così come la sua famiglia: bella moglie e due figli già molto promettenti nello sport (calcio e boxe). E anche nella spesso difficile transizione dal ruolo di calciatore a quello di tecnico non poteva sognare un passaggio di maggior successo: l’ultima partita da ct del Galles l’aveva vinta 4-1, quinto successo negli ultimi sette incontri. Tutto a gonfie vele, almeno in apparenza.
Anni fa, l’ex libero della Roma vicecampione d’Europa 1984 Ubaldo Righetti, nel commentare la scomparsa dell’ex compagno di squadra Agostino Di Bartolomei rivelò: “La differenza tra me e Agostino è che per mia fortuna in casa mia non ci sono mai state armi da fuoco. Una volta, all’improvviso, mentre guardavo la tv, ho avuto per alcuni minuti una voglia quasi insopprimbile di togliermi la vita. Come è venuta poi se n’è andata, avessi avuto anche io una pistola, forse non sarei qui”. Parole, così come i gesti estremi di Di Bartolomei e Speed, che mettono a nudo fragilità nascoste e insospettabili, e per questo ancor meno comprensibili, in un mondo come quello del calcio professionistico, sempre più patinato, sinonimo di fama, soldi facili e successo.
La lunghissima carriera da calciatore e quella, appena iniziata, da ct della nazionale gallese, avevano fatto di Gary Speed uno dei personaggi più conosciuti da colleghi e ex colleghi. Quasi tutti i calciatori che hanno giocato nella Premier League inglese negli ultimi vent’anni hanno avuto modo di conoscerlo personalmente, e questo spiega l’enorme quantità di tributi, tutti ugualmente scioccati, che hanno inondato le pagine dei quotidiani britannici: ex compagni di nazionale come Ryan Giggs (“Era una delle persone migliori del nostro mondo. Una persona di cui mi sentivo onorato di poterla chiamare compagno e amico”), di squadra come Steven Taylor (“Ho giocato con lui a Newcastle: io ero alle prime armi e lui era già un campione affermato. Aveva un alone di carisma attorno a sé, era una stella della squadra, eppure aveva sempre tempo per noi giovani”), ex allenatori come Howard Wilkinson (“Un bravo ragazzo, normalissimo, sincero, che s’impegnava parecchio e soprattutto un ottimo giocatore”). Ma forse a dar la misura di quanti giocatori avessero incrociato le proprie strade con quella di Speed basti pensare che in Swansea-Aston Villa, la prima partita dopo la notizia del suicidio, in campo c’erano quattro giocatori selezionati da Speed come ct del Galles (Rodgers, Williams, Taylor e Collins) e due ex compagni di squadra al Newcastle (Shay Given e Jermain Jenas); e che nella seconda, Liverpool-Manchester City, Kenny Dalglish, che aveva allenato Speed a Newcastle, ha tolto dall’undici titolare il gallese Craig Bellamy, perché troppo scosso per la morte dell’ex compagno di nazionale. In Premier League, da compagni o avversari, era impossibile non incrociare la strada con un calciatore che in questo campionato ha disputato 534 partite, record superato solo da Ryan Giggs e David James.
Un cammino cominciato nel 1988 a 19 anni, quando esordisce nel Leeds United di cui diventerà presto un punto fermo. Con la squadra nei bassifondi della Seconda divisione e sempre più speditamente diretta verso la Terza, a Elland Road mettono da parte ogni riguardo nei confronti di una leggenda locale come Billy Bremner, rimpiazzandolo in panchina con Howard Wilkinson. Il nuovo tecnico non impiega molto a capire che il cambio di passo e la velocità di Speed (nomen omen) possono diventare decisivi per invertire rapidamente la china. E’ quel che avviene. Nel giro di quattro stagioni il Leeds passa dall’aver evitato una retrocessione quasi certa in terza serie a risalire in Prima divisione e a laurearsi campione d’Inghilterra. Il titolo arriva al termine del campionato 1991-92, anno del centenario del Liverpool, storico rivale del Leeds dai tempi dei duelli in panchina tra Don Revie e Bill Shankly. Ma sotto la guida di Graeme Souness il Liverpool ha smarrito quel mix di tecnica e determinazione alla base di tanti successi passati, miscela invece riproposta in modo vincente da Wilkinson in un centrocampo che oltre a Speed sulla sinistra e Gordon Strachan a destra, comprende David Batty davanti alla difesa e Gary McAllister in regia. E’ proprio quel quartetto in mediana la forza di una squadra altrimenti normalissima con John Lukic in porta e una linea di difesa com Sterland, Whyte, Fairclough, Dorigo e due punte come Lee Chapman e Wallace (con l’arrivo a stagione in corso di Eric Cantona). Quel titolo sarà l’ultimo dell’ultracentenaria storia della “First division” inglese, sostituita nell’estate ’92 dalla Premier League. Sarà anche l’ultimo campionato conquistato dal Leeds United e l’unico vinto in carriera da Gary Speed. Il titolo appena vinto dà al Leeds l’opportunità di partecipare alla Champions League 1992-93, edizione inagurale del torneo che ha rimpiazzato la Coppa Campioni. La prima è disastrosa: i campioni d’Inghilterra perdono 3-0 in Germania contro lo Stoccarda. Ma il riscatto è memorabile: 4-1 a Elland Road e 2-1 nello spareggio di Barcellona. Nel turno successivo il sorteggio oppone al Leeds i Rangers Glasgow campioni di Scozia. Ad Ibrox Park gli inglesi vanno in gol al primo minuto con McAllister, ma un autogol di Lukic e una rete di Ally McCoist danno il 2-1 ai Rangers, che bisseranno il punteggio a Leeds con le reti di McCoist e dell’ex milanista Mark Hateley. Un’eliminazione molto pesante per il Leeds. Da qui partiranno critiche e polemiche che porteranno pian piano a smantellare quella squadra: Cantona e Batty sono i primi a partire, poi seguiranno gli altri.
Nel 1996, dopo 312 presenze e 57 reti, e dietro la spinta del compagno di nazionale Neville Southall (unico ad aver più presenze di Speed con la maglia del Galles: 92 contro 85) accetta l’offerta di passare per 3 milioni e mezzo di sterline all’ambizioso Everton di Joe Royle, che in attacco può esibire una delle migliori coppie del campionato con Nick Barmby e Duncan Ferguson. Non solo: i Toffees sono la squadra del cuore di Speed. Ma le cose non andranno bene per l’Everton che finirà il torneo appena sopra la zona retrocessione. Ma nel caos di Goodison Park Speed s’impone come uno dei pochi punti di forza della squadra e per questo gli viene assegnata la fascia di capitano. Per compagni e tifosi diventa presto un punto di riferimento. Ma il suo addio arriva all’improvviso e gli varrà l’odio di buona parte della tifoseria. La colpa? Essersi rifiutato di seguire la squadra nella trasferta di Londra contro il West Ham, una volta saputo dell’accordo per cederlo al Newcastle. Nel dopogara il manager dell’Everton Howard Kendall dichiara in tv di essere furioso con Speed, per aver fatto mancare il suo aiuto alla squadra nel momento del bisogno. Una dichiarazione che lascia allibito il giocatore, invitato proprio da Kendall prima della gara a non prender parte alla partita. Speed in serata chiama Kendall che ammette: “Scusa ma non potevo fare altro. I tifosi così accetteranno meglio la tua cessione, altrimenti non ci avrebbero perdonati”. Speed verrà sempre fischiato nei suoi ritorni da avversario a Goodison Park.
Cinque milioni e mezzo di sterline è la cifra che ha convinto l’Everton a mettere in piedi questa messa in scena pur di lasciarlo andare a Newcastle. A St James’s Park Kenny Dalglish ha rimpiazzato Kevin Keegan e sta cambiando natura a una squadra votata al bel gioco, mettendo da parte il talento esplosivo ma discontinuo dei Ginola, Asprilla, Ferdinand e Beardsley, a favore della concretezza di giocatori come Dietmar Hamann. A Newcastle Speed ritroverà la Champions League e per due volte raggiungerà la finale di FA Cup, perdendola nel 1998 contro l’Arsenal e nel 1999 contro il Manchester United che, grazie ai successi in campionato e in Champions League, firmerà uno storico “treble”.
Nel 2004, a 35 anni, Speed passa al Bolton Wanderers. Con questa maglia raggiunge una finale di Coppa di Lega e nel dicembre 2006 diventa il primo giocatore a tagliare il traguardo delle 500 presenze in Premier: record celebrato con 4-0 al West Ham. Anche qui i compagni gli riconoscono immediatamente un carisma unico. Esemplare la dichiarazione di Ivan Campo che poco più di un anno fa contestava la scelta della società di non aver sostituito Gary Megson in panchina con Gary Speed: “C’è un candidato ideale per risollevare la squadra e questo è Gary Speed”.
Che nel frattempo, dal gennaio 2008, era passato allo Sheffield United. Qui, nel giro di due anni, complice un problema alla schiena, chiude la carriera da calciatore per cominciare quella da allenatore. Il contratto triennale firmato a Bramall Lane nell’agosto 2010 dura appena quattro mesi, perché a dicembre Speed viene scelto come successore di John Toshack nel ruolo di ct del Galles, dopo i disastrosi risultati messi insieme dall’ex manager di Swansea, Real Sociedad e Real Madrid.
La scelta di affidare la nazionale gallese a Speed, ex bandiera della nazionale da giocatore ma assolutamente privo di esperienza come tecnico, desta parecchie perplessità. E c’è chi ricorda come un esperimento analogo – tentato qualche anno prima dalla federazione irlandese con Steve Staunton – avesse avuto un esito disastroso. E proprio contro l’Irlanda di Trapattoni, l’8 febbraio di quest’anno, Speed esordisce come ct, perdendo 3-0. Un risultato che sembra dar ragione sia a chi, nonostante talenti come Aaron Ramsey e Gareth Bale, vede il calcio gallese come un malato incurabile, sia a chi contestava la nomina di un ct così giovane.
Le cose non migliorano contro l’Inghilterra di Fabio Capello, che supera il Galles 2-0 in un match di qualificazione agli Europei 2012; alla terza uscita arriva un’altra sconfitta: 3-1 contro la Scozia. Sprofondato al 117° posto del ranking Fifa il Galles è ormai al livello delle cenerentole del calcio mondiale. E da qui parte la riscossa. Contro l’Irlanda del Nord Ramsey e Earnshaw firmano il 2-0 per il Galles, primo successo dell’era Speed. Nelle sei partite successive arrivano ancora due sconfitte (contro Inghilterra e Australia) e quattro vittorie (Montenegro, Svizzera, Bulgaria e Norvegia). Il vento è cambiato: cinque successi nelle ultime sette uscite. Da non credere. Anche gli scettici della prima ora adesso plaudono la gestione Speed: “C’è aria nuova in nazionale”. Un’inversione di rotta drastica e inequivocabile, certificata dal ranking Fifa passato a un più onorevole 45° posto. Anche dopo il 4-1 rifilato alla Norvegia viene gestito dal giovane ct con il proverbiale buon senso: “In un periodo molto breve abbiamo fatto tanti progressi, molto più rapidi di quanto mi aspettassi. Ma c’è ancora tanto lavoro da fare”. ECL EUROPA
Gary Speed
Nato a Mancot l’8 settembre 1969
Morto a Huntington il 27 novembre 2011
Da calciatore
Ruolo
Centrocampista
Squadre
Leeds United (1988-1996)
Everton (1996-1998)
Newcastle (1998-2004)
Bolton (2004-2008)
Sheffield United (2008-2010)
Nazionale
85 presenze, 7 gol
Da allenatore
Sheffield United (2010)
Da commissario tecnico
Galles (2011)
Titoli
Campionato inglese 1991-92
Charity Shield 1992
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