28.5.2017, Roma-Genoa 3-2: ultima gara in giallorosso di Francesco Totti

Perché dovrebbe smettere? Quando scende in campo Francesco Totti non è una figura patetica. Non ancora almeno. Ha un carisma che da solo mette ancora le ali ai compagni e blocca gli avversari, non è più in grado di scappare via dopo aver saltato l’uomo ma tocca il pallone come sempre, vede il gioco più degli altri, si diverte e fa divertire.
Celebrato all’Olimpico come fosse Pelè, quello attuale, Totti è ancora un calciatore. Non un monumento né uno pronto per la mestizia di un ruolo dirigenziale, che nessuna retribuzione potrà mai rendere meno grigio.
Per la scrivania c’è tempo. Il numero dieci della Roma lo ha confermato nella quarantina di minuti giocati contro il Genoa nell’ultima di campionato: tocchi di fino e di forza, contrasti vinti, sventagliate di 30-40 metri disegnate al computer, l’intelligenza di andare a prendersi la palla dai difensori per lanciare i compagni e rimettere in piedi una Roma in confusione. Una squadra frastornata, da una cornice di pubblico da finale dei Mondiali, dalla consapevolezza di essere ridotta a un piè di pagina nell’ultima gara in giallorosso di Totti o dalla sorpresa di doversela vedere con la professionalità del “demotivato” Genoa, che ha onorato la partita con una concentrazione sorprendente per gli standard del nostro campionato a fine stagione.
Una combinazione di ragioni, alle quali va aggiunto il secondo posto che sfuggiva dalle mani della Roma a vantaggio del Napoli. Quell’1-1 che non si sbloccava ha costretto Spalletti a far entrare Totti in una situazione diversa da quella prefigurata di passerella a risultato acquisito. Ma la gara-pretesto della celebrazione diventata improvvisamente complicata e stranamente vera ha consentito di comprendere la sofferenza del giocatore nell’accettare una scrivania quando è ancora in grado di giocare senza sfigurare né sminuire il proprio mito. Anzi. Col capitano in campo la squadra si è scossa, ha reagito, seppure in modo disordinato, ma ha reagito. E ha strappato, con determinazione e tanta, tanta fortuna, il 3-2 che Totti poi ha messo in ghiaccio sino al fischio finale.
Luciano Spalletti da mesi, quasi due anni in verità, gestisce e descrive Totti come un ex calciatore: un giocatore che da fermo se la può vedere con chiunque ma in campo si corre e lì non è più competitivo, niente di personale, semplice constatazione. Uno che fatica a reggere il ritmo pure nei minuti di recupero o quasi.
Il tempo passa per tutti, Totti incluso. Se a un giocatore gli chiedi gli stessi movimenti di dieci anni prima è come mettere un faro sul quel che non sa più fare. Ma se il fisico è integro e il giocatore è un campione col dono di visione di gioco superiore e tecnica eccellente, basta spostarlo di qualche metro e le cose cambiano. Attaccanti come Ruud Gullit o mezzepunte come Glenn Hoddle hanno allungato la carriera arretrando in mediana. Johan Cruyff era andato oltre e aveva chiuso da libero, posizione che gli consentiva di dettare il gioco, sganciarsi in avanti di tanto in tanto e rifiatare. Totti in regia con due bei polmoni-incontristi ai fianchi durerebbe altri tre-quattro stagioni. Altro che pensione.
Entrato nella Roma a 12 anni, un quarto di secolo in giallorosso, lì avrebbe voluto chiudere la carriera. Gli è stato impedito. Giusto continui altrove. Totti si è conquistato il diritto a scrivere la parola fine sulla propria carriera, non può lasciare che lo facciano altri. Il limite d’età nello sport non esiste. Esistono le prestazioni. Lo dimostra Roger Federer nel tennis. Totti può ancora farlo nel calcio. LECHAMPIONS EUROPA

 

 

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