Eduardo Galeano l’aveva descritto così: “L’intero campo da calcio stava nelle sue scarpe. Dai suoi piedi il campo si sviluppava e cresceva. Correva e ricorreva da una porta all’altra. Si spostava da una fascia all’altra, cambiava ritmo con la palla, da passo pigro a ciclone irrefrenabile. Non stava mai fermo: era lì a inizio azione e c’era alla fine”.
A 88 anni un infarto ha stroncato la vita di Alfredo Di Stefano, un campione che ha fatto la storia del calcio. Lo si dice così spesso (a sproposito) di così tanti calciatori che quando arrivi a una leggenda come Di Stefano, ti accorgi di essere a corto di parole che rendano giustizia al mito di uno dei più grandi (per alcuni il più grande) di questo sport.Con Alfredo Di Stefano siamo a un livello che può essere allargato ai soli Pelè, Maradona, Cruyff e, fra qualche anno, probabilmente Messi.
Primo giocatore “totale”, capace di giocare a tutto campo e ovunque con la massima naturalezza, Di Stefano è considerato da molti il più grande di sempre proprio per la sua capacità di andare oltre i ruoli. Concetto ben chiarito tempo addietro da Enzo Bearzot: “Se devo prendere il miglior giocatore negli ultimi venti metri prendo Van Basten, dall’area a metacampo Maradona, nella nostra metacampo Cruyff. Da una porta all’altra Di Stefano”.
Una carriera lunga, intensa e vincente come pochissime altre. Cresce nelle giovanili del River Plate e con questa maglia nel 1948, segnando 4 gol in 6 gare, si classifica al secondo posto nella Coppa Campioni del Sud America: la Copa de Campeones Sudamericanos, antenata della Libertadores. L’anno dopo, in occasione di uno sciopero dei calciatori argentini, Di Stefano assieme a molti compagni del River e altri connazionali si trasferisce in Colombia. Approda nella mitica formazione dei Millionarios: 157 reti in 182 presenze che valgono tre titoli nazionali in quattro anni.
Un grande ex del Barcellona come Pepe Samiter resta ammirato dalle prestazioni di Di Stefano durante una tournée dei Millionarios in Sud America e in Spagna (contro il Real Madrid). Samiter consiglia al Barca di prenderlo per mettere assieme a Kubala una coppia da sogno che renderà i blaugrana imbattibili. Più o meno le stesse valutazioni che fa il presidente del Real Santiago Bernabeu. Partono in parallelo trattative che vedono coinvolti Real, Barcellona, River, Millionarios e il giocatore. Una saga così confusa da richiedere alla fine l’intervento della Federazione spagnola che ordina a Real e Barca di dividersi il giocatore: una stagione a testa per quattro anni. Il Barca si tira fuori dall’accordo, ottenendo una compensazione monetaria (4,4 milioni di pesetas). Superfluo dire che saranno i soldi meglio spesi nell’intera storia del Real Madrid: con Di Stefano i blancos conquistano otto campionati, una coppa di Spagna, due coppe Latine, una coppa Intercontinentale ma soprattutto le prime cinque edizioni della Coppa Campioni. Una cinquina che da sola basta a fare del Real il club più prestigioso al mondo. In quelle cinque finali vinte Di Stefano va a sempre a segno: altro primato ineguagliato e forse ineguagliabile.
Quel Real, che oltre a Di Stefano, Gento, Santamaria poteva contare sui successivi innesti di fuoriclasse come Kopa e Puskas, dominerà in patria e in Europa come nessun altro prima e dopo. Una squadra unica. La finale di Coppa Campioni persa contro l’Inter di Herrera nel 1964 è l’ultima partita della Saeta Rubia col Real. Passa all’Espanol, dove giocherà le ultime due stagioni prima del ritiro alla soglia dei 40 anni.
Nelle 23 stagioni di calcio giocato, Di Stefano vince tutto, anche due Palloni d’oro (1957 e 1959); gioca 6 partite con l’Argentina, 31 con la Spagna ma non riesce a prender parte nemmeno a un Mondiale: nel 1950 l’Argentina rifiuta di partecipare alla Coppa del Mondo in Brasile; nel 1958 la Spagna non si qualifica al Mondiale svedese e nel 1962 un infortunio nega a Di Stefano la possibilità di scendere in campo nel Mondiale cileno.
Impossibile replicare in panchina i successi ottenuti in campo. Eppure troppo spesso si sottovalutano i risultati ottenuti come allenatore da don Alfredo: vince due volte il campionato argentino (col Boca e col River), un campionato spagnolo (col Valencia), una Supercoppa di Spagna (col Real), e nel 1980 col Valencia una Coppa delle Coppe, che sfiorerà ancora nel 1983 quando il suo Real verrà sconfitto in finale ai supplementari dall’Aberdeen di Alex Ferguson. Una sconfitta inattesa che Di Stefano seppe accettare con la solita eleganza, regalando agli avversari complimenti sinceri: “Non bastano i soldi per fare una squadra come l’Aberdeen. Questo club ha un’anima ed è come una famiglia”. La vera classe si vede nelle sconfitte. Di Stefano ha avuto poche occasioni per rivelarla: ma c’era e si è vista. LECHAMPIONS EUROPA
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