“Sono stupito dalle voci che stanno circolando in queste ore. Mi sento ancora l’allenatore dell’Inter”.

Rafa Benitez
Rafa Benitez

Così, in un’intervista alla radio spagnola Onda Cero, Rafa Benitez ha commentato le reazioni a quello che era apparso un premeditato autoesonero. Perché nel suo meticoloso e ben argomentato sfogo, al termine della finale del Mondiale per club vinta sul Mazembe, il tecnico spagnolo non sembrava lasciarsi aperta altra porta che quella dell’addio. Nessun moto di rabbia ma un atto d’accusa, netto, argomentato, in cui non risparmiava nessuno.
Né la società. “Questo è un momento di felicità ma non si può più andare avanti così. Ho bisogno del supporto al cento per cento della società. Quando sono arrivato il club mi aveva promesso tre acquisti per costruire una squadra ancora più forte: non è arrivato nessuno. Sono un professionista serio e merito rispetto per il mio lavoro. Adesso ci sono tre possibili strade: la società fa un progetto e compra quattro giocatori subito a gennaio; andiamo avanti così con l’allenatore come unico colpevole e ogni settimana spuntano i nomi di due, tre alternative; il presidente parla con il mio procuratore e troviamo un’altra soluzione”.
Né i giocatori. “Alla base degli infortuni ci sono delle cause precise, che io e il mio staff abbiamo studiato scientificamente. Poi, negli ultimi due anni, non è stato seguito un programma di lavoro in palestra e molti lo hanno fatto di nascosto e mi risulta che continuino a farlo”.

La risposta di Moratti alla richiesta di supporto è stata glaciale: “Non è il momento di chiedere rinforzi e non è una cosa che decidiamo adesso”. Indicativo anche il commento di Marco Materazzi: “Quello che fa Benitez non ci interessa. Conta solo la società, perché è la società che ci ha portati fin qui”.

Dopo uno scambio di battute del genere, a stupire è lo stupore di Benitez. L’Inter in campionato è settima a tredici punti dal Milan capolista (ma con due partite da recuperare) e con un’imbarazzante (di chiunque sia la colpa) lista di 45 infortuni in un quadrimestre: normale che l’operato del tecnico possa essere in discussione. Meno normale è la situazione da separati in casa che da settimane Benitez è costretto ad affrontare.

L’esternazione dell’allenatore nerazzurro negli Emirati ricordava molto quella fatta a Liverpool, quando lo spagnolo era venuto a conoscenza del fatto che George Gillett, allora uno dei due proprietari del club, aveva raggiunto un accordo per affidare la panchina dei reds a Jurgen Klinsmann. Ad Abu Dhabi, dopo aver dovuto mandar giù per novanta minuti la presenza in tribuna di Fabio Capello (che da tempo, assieme a Luciano Spalletti, è l’obiettivo numero uno per la panchina della società nerazzurra), Benitez ha provato nuovamente a giocare le ultime carte a sua disposizione: se è vero che il mio esonero è quasi deciso, non sarò io a spianare la strada a società e sostituto e prima di andarsene è meglio chiarire che non stanno mandando via un ‘fallito’ ma un ‘tradito’.

Le colpe della societ�
PROMESSE NON MANTENUTE. Se si voleva risparmiare, in ossequio alle fairplay finaziario preteso dall’Uefa, bastava dirlo e chiarire in sede di contratto che non sarebbe arrivato nessuno. Il rischio era il no del tecnico? Giusto correrlo. Presentare Coutinho, Biabiany e Castellazzi come i tre acquisti promessi è una presa in giro. Ancora più evidente se si pensa che l’anno prima a Mourinho erano stati presi Milito, Thiago Motta, Sneijder, Lucio e Eto’o.
PERCHE’ BENITEZ? Il tecnico spagnolo è stato un ripiego, raggiunto dopo il fallito accordo con la Juventus. L’obiettivo numero uno era Fabio Capello. Se si voleva un tecnico di transizione, cosa difficile da campioni d’Europa, non si doveva chiamare un allenatore che negli ultimi cinque anni aveva raggiunto due finali di Champions League, vincendone una. Nessun big avrebbe accettato un mercato già fatto (meglio: non fatto).
ISOLAMENTO. Sia Materazzi che Stankovic dopo il successo di Abu Dhabi hanno criticato il tecnico. Che a farlo siano stati due giocatori rilanciati dallo spagnolo è indicativo della poca gratitudine ma anche di una squadra ben consapevole del destino già segnato del tecnico spagnolo.
GOCCIA CINESE. Nell’ultimo mese Benitez si è visto dare pubblicamente due ultimatum: la sfida col Twente (vinta) e il Mondiale per club (vinto). Escludendo la possibilità che in società si tifasse per le sconfitte, non si capisce perché legare a quei risultati l’eventuale esonero. Le vittorie hanno reso più arduo giustificare una scelta già fatta: ora ci si deve aggrappare allo sfogo post-Mazembe, così come accaduto con quello post-Liverpool di Mancini. Non solo. la sfiducia a rate ha contribuito a indebolire progressivamente la posizione di Benitez davanti ai giocatori, deresponsabilizzandoli ulteriormente. Al punto da potersi permettere – certi di non essere sanzionati né richiamati all’ordine – di scindere la fedeltà al club da quella all’allenatore.

Gli errori di Benitez
L’ex tecnico di Valencia e Liverpool ha certamente commesso diversi errori in questi quattro mesi alla guida dei nerazzurri. Ereditava una situazione difficile per chiunque: squadra appagata; vincitrice di tre competizioni su tre (impossibile fare meglio); ancora in adorazione di Jose Mourinho; nessun nuovo innesto di peso.
CAMBIO TATTICO. E’ riuscito a bloccare la cessione di Maicon al Real Madrid, ma non ha saputo resistere alla tentazione di voler imprimere subito il suo timbro sulla squadra. Linea di difesa molto alta, liberare Eto’o da compiti difensivi, riproporre Stankovic come titolare e non come semplice rincalzo, cercare il possesso di palla nella metà campo avversaria. Modifiche coraggiose ma digerite a fatica (se non addirittura osteggiate) da un gruppo di giocatori abbastanza in là con gli anni e certamente poco incline all’idea di dover mettere in pratica un gioco più dispendioso (dal punto di vista tecnico e mentale) del contropiede sistematico voluto da Mourinho, che poi resta lo schema che contraddistingue le migliori edizioni dell’Inter, quelle targate Herrera, Bersellini, Trapattoni. Benitez ha provato a fare quel che Arsene Wenger ha fatto all’Arsenal: azzerare la storia di una squadra nel cui dna c’erano difesa a oltranza e vittorie di rapina (il Tottenham al contrario era, ed è, l’emblema del calcio arioso e offensivo), per trasformarla in sinonimo di calcio spettacolare. Il tecnico spagnolo è sempre stato un grande estimatore di Arrigo Sacchi e del suo Milan: a Liverpool mostrava a Jamie Carragher i dvd con i movimenti di Franco Baresi, come ricordato dal centrale dei reds nella sua autobiografia. E l’Inter che aveva in testa Benitez era più simile al Milan di Sacchi che alla squadra del Triplete: linea di difesa alta, strumentale a un pressing avviato a ridosso dell’area avversaria, da qui la richiesta di prendere Kuyt e Mascherano, bravissimi nell’eseguire e chiamare il pressing. Progetto ambizioso, forse troppo.
FRETTA. Una rivoluzione che avrebbe richiesto giocatori ma soprattutto tempo. E doveva essere Benitez a darselo, invece la frenesia di voler subito distanziare la sua Inter da quella di Mourinho gli ha giocato un brutto scherzo, lo ha esposto a brutte figure e mandato talvolta in confusione.
SCELTE. Riproporre un ex calciatore come Materazzi in marcatura su Ibrahimovic nel derby è stato un autogol di proporzioni colossali, che ha compromesso la partita. Non lo avrebbe commesso nessun collega né alcun tifoso. Mourinho aveva confinato Materazzi al ruolo di mascotte: “fondamentale per lo spogliatoio”. Lo si dice di chi ormai è inutile in campo. Riaccreditare come calciatore di alto livello il 37enne ex stopper del Perugia in una partita come il derby è una macchia che resterà nel cv di Benitez, e che va ad aggiungersi ad altre valutazioni errate su giocatori sopravvalutati come Josemi, Nunez, Pennant. Mediocrità diventate leggende di Anfield per manifesta incapacità.

Scegliere i giocatori non è il forte del tecnico spagnolo, bravissimo invece nell’individuare i punti deboli degli avversari. Ma Moratti non ha dato modo a Benitez di commettere questi errori di valutazione: nessuno dei giocatori richiesti è arrivato, e nemmeno i loro facsimili. E questa è la colpa della società che Benitez ha voluto rendere pubblica, dopo due mesi sulla graticola, ad ascoltare i nomi di Capello, Spalletti, Leonardo, Zenga, Simeone, Baresi, Bielsa: mi volete mandare via ma non mi avete dato l’opportunità di farvi vedere cosa avevo in mente, è giusto che la gente lo sappia. L’Inter appena potrà gli darà il benservito. Poi un traghettatore sino a Capello, Spalletti o Mourinho.

Gianni Serra
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