

Per la prima volta nella sua storia il River Plate retrocede in serie B. Prima o poi doveva accadere ma dopo 110 anni puoi pensare di continuare a ritardare l’inevitabile. Oppure puoi sperare nei “miracoli”: come accaduto nel 1981 quando la modifica del regolamento salvò dalla retrocessione il River, che aveva chiuso il campionato al penultimo posto. Se quella poteva definirsi un’annata storta questa no. Nelle ultime stagioni il declino del club più vittorioso del calcio argentino è stato lento e costante. La mediocre esibizione nel doppio spareggio “Promoción Primera/Nacional B” contro il Belgrano – sconfitta per 2-0 a Cordoba e 1-1 al Monumental – rappresenta un mesto ma obiettivo epitaffio, che fotografa il crollo di un mito del calcio mondiale.

Il River Plate ha visto tra le sue fila fuoriclasse assoluti come Alfredo Di Stefano, Omar Sivori, Angel Labruna, Ubaldo Fillol, Daniel Passarella, Ramon Diaz, Enzo Francescoli. Ma se prima i campioni venivano trattenuti e lasciati emigrare a fine carriera, negli ultimi 10-15 anni los Millonarios hanno cercato di monetizzare il più (e il prima) possibile la propria fabbrica di talenti, non bloccando per più di un paio di stagioni giocatori del calibro di Crespo, Saviola, Aimar, Cambiasso, D’Alessandro, Angel, Cavenaghi, Mascherano, Higuain e gli uomini del mercato 2011 Alexis Sanchez e Radamel Falcao. Vendendoli così presto si è perduta la possibilità di maggiori incassi e si è sabotato il lavoro di qualunque allenatore, costretto a costruire sulle sabbie mobili. Praticamente ogni due anni la squadra era da rifare: a non cambiare aria solo i più scarsi. Neanche un fan del Boca avrebbe potuto portare avanti, con metodo quasi scientifico, un suicidio così ben programmato.
La parabola discendente in questi casi è sempre uguale: si comincia con le brutte figure nelle competizioni internazionali, poi dalle eliminazioni precoci si passa alle mancate qualificazioni; in patria il ridimensionamento diventa presto crisi: inizialmente ci si difende grazie al blasone, ma nei momenti no i 33 titoli nazionali da scudo si trasformano in peso. Il confronto tra il passato glorioso e il presente mediocre spinge la tifoseria ad attaccare anziché sostenere la squadra e i giocatori abituati a lottare per le zone alte, rivelano limiti e inadeguatezze caratteriali: c’è chi taglia la corda e chi crolla.

La rabbia dei tifosi del River è esplosa già durante la partita col Belgrano e gli incidenti sono diventati un caso di Stato, perché il presidente della Repubblica Cristina Kirchner aveva insistito affinché la sfida non venisse giocata a porte chiuse. Fiducia mal riposta: il bilancio degli incidenti parla di 89 feriti e 50 arresti. Uno dei bersagli principali della rabbia della tifoseria biancorossa è una bandiera del passato come Daniel Alberto Passerella. L’ex capitano dell’Argentina campione del mondo nel 1978, che in Italia ha giocato con Fiorentina e Inter negli anni Ottanta, ha il solo torto di aver accettato nel 2009 di diventare presidente di un club già carico di debiti e completamente allo sbando dal punto di vista tecnico. Il River che aveva guidato al successo da giocatore e da allenatore era, anche grazie a lui, ben altra cosa.
Il futuro non è roseo: i conti sono in rosso e in B le entrate da sponsor e tv diminuiranno; si ritirano i giocatori a fine carriera come Almeyda, Buonanotte è finalmente libero di andare al Malaga, le belle speranze Lamela e Funes Mori serviranno per far cassa, e i gregari in prestito non verranno riscattati. Per ricostruire una squadra degna della tradizione del club, ci vorranno anni. Riverplate.com, principale sito della tifoseria millionaria, lo ha definito il giorno più triste della storia del River. Affermazione che potrebbe rivelarsi ottimistica: l’impressione è che il club di Buenos Aires non abbia ancora toccato il fondo. ECL AMERICA
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