Prima Capello, Hiddink, Spalletti, poi Benitez, Guardiola, Pellegrini e addirittura Zeman. Sono i nomi accostati alla panchina dell’Inter.

Capello: obiettivo numero unoTutti di prima qualità. I neo campioni d’Europa, abbandonati da Jose Mourinho, presentato ieri come nuovo allenatore del Real Madrid, dicono di non aver fretta. Hanno a disposizione il meglio e sanno di poterlo raggiungere. La soluzione più conservativa, anche se complicata dall’opposizione della Federazione inglese, è quella che porta a Fabio Capello. L’unico per carisma e risultati a poter subentrare a Mourinho senza il timore di confronti sfavorevoli. Ha vinto ovunque, in Italia e all’estero, e potrebbe arrivare a Milano da campione del mondo se l’Inghilterra confermerà in Sud Africa la sua forza. Vittoria che consentirebbe all’Inter di sostituire un campione mondiale a uno europeo e a Don Fabio di giustificare l’addio con motivazioni simili, se non identiche, a quelle utilizzate dallo ‘Special one’ per andare al Bernabeu. Ma soprattutto Capello è una garanzia. Al Milan era subentrato a Arrigo Sacchi, rigenerando una squadra cotta e scettica: ottenendo successi, trasformando la diffidenza dei tifosi in ammirazione. Capello potrebbe consolidare quel che Mourinho ha costruito e perfezionato sulle basi ereditate da Mancini. Una sorta di continuità nel cambiamento: questa la soluzione preferita da Moratti. Tutti gli altri sono ripieghi. Di lusso ma ripieghi. Fa eccezione il nome di Zdenek Zeman. Nessuno avrebbe potuto farlo se non il presidente nerazzurro: “Mi affascina la serietà e l’esperienza di alcuni allenatori, mi affascina la genialità di altri come Zeman”.
Il tecnico boemo è un maestro di calcio ineguagliato: nessuno sa impostare il gioco d’attacco come lui. Lo stesso Barcellona di Guardiola, nonostante i Messi, i Pedro, gli Ibrahimovic, è stato ridimensionato dal doppio confronto nella semifinale di Champions League contro l’Inter: i blaugrana sono stati costretti a una forzata dimostrazione di impotenza offensiva. I fraseggi ripetuti, alla ricerca di spazi che non si creavano, non avevano alternative e si è visto. E si era già visto un anno prima a Stamford Bridge contro il Chelsea di Hiddink ma in quell’occasione Iniesta aveva pescato il jolly che è mancato quest’anno al Camp Nou. La filosofia del calcio propositivo di Guardiola e del Barcellona passa per il pressing e il possesso palla. Ma in avanti lo schema è dare palla, nell’ordine, a Messi, Pedro, Ibrahimovic. I tre devono solo tagliare e quel mostro di precisione e visione di nome Xavi Hernandez li servirà a dovere. Se il trio viene controllato, come hanno saputo fare Samuel e compagni, Xavi resta col cerino in mano. Ma se Laporta non sa nemmeno chi sia l’allenatore che alla guida della Roma aveva rifilato un 5-0 al Milan degli invincibili di Fabio Capello, lo stesso non può dirsi di Moratti. Zeman: un onore allenare l'InterImmaginare Eto’o, Milito e soprattutto Balotelli nelle mani di Zeman, capace di far segnare qualunque tridente schierato in carriera, è roba da fantacalcio. Il presidente nerazzurro ha ammesso di aver pensato al tecnico che aveva osato attaccare Moggi e la Juventus quando rappresentavano il “sistema” (così chiamato dall’attuale ct azzurro Marcello Lippi, per invitare il boemo ad accettarlo o ad andarsene). Ma più che come simbolo della pulizia nel calcio, il richiamo di Moratti è per l’allenatore in grado di portare una squadra che ha vinto tutto a un livello superiore: quello del bel gioco. Un piano che accoglie una elite ancora più ristretta dei vincitori dei Mondiali o delle Coppe dei Campioni. L’Ungheria del 1954, l’Olanda del 1974, il Brasile del 1982 sono squadre che non hanno vinto nulla eppure vengono ancora oggi ricordate per aver elevato il calcio ad arte. Abilità che le ha rese immortali, patrimonio universale, non confinato al freddo elenco di un albo d’oro. Il bel gioco conta: non è un caso se i tre trionfi dell’Ajax di Cruyff in Coppa Campioni tra il 1971 e il 1973, sono impressi nella memoria più dei tre del Bayern di Beckenbauer tra il 1974 e il 1976; lo stesso può dirsi della doppietta del Liverpool allenato da Bob Paisley, rispetto a quella ottenuta dal Nottingham Forest di Brian Clough.
Ci sono successi e successi. Sul finire degli degli anni Ottanta Arrigo Sacchi, in un biennio folgorante, non si è limitato a riportare il Milan in vetta all’Europa, ha trasformato il Milan nella Supernova del calcio mondiale. Ancora oggi a più di vent’anni di distanza quella squadra viene riconosciuta come la migliore espressione calcistica mai vista. Sacchi ha vinto meno di Capello, ma meglio evidentemente. Moratti con Zeman sogna l’immortalità. Ma, lo ha ammesso lui stesso, il sogno lascerà il passo alla brutale banalità della vittoria ad ogni costo. Avanti con Benitez: del resto è sua la primogenitura del 4-2-3-1 che ha fatto le fortune dell’Inter e di Mourinho in Europa (anche se il portoghese non ammetterà nemmeno sotto tortura di aver preso spunto dal collega spagnolo). Due incontristi davanti alla difesa e tre mezzepunte dietro il centravanti: Cambiasso e Zanetti come Lucas e Mascherano, Pandev, Sneijder e Eto’o come Kuyt, Gerrard e Benayoun, con Milito a fare il Torres lì davanti. Stessa disposzione diversa qualità. La differenza è tutta lì. ECL