Un piede destro che poteva rivaleggiare col sinistro di Diego Armando Maradona. Non possono dirlo in tanti, forse nessuno. E pure Matthew Le Tissier si guarda bene dal farlo, ma potrebbe. Perché la capacità di addomesticare qualunque pallone, fargli percorrerre nel modo più naturale possibile le traiettorie in apparenza più improbabili, accarezzarlo anche nelle conclusioni da lunga distanza, sono doti uniche che accomunano i due. Un paragone improponibile in termini di vittorie o popolarità ma che regge se si guarda all’abilità tecnica con l’attrezzo di gioco. Abilità che in entrambi i casi sconfinava nell’arte pura. Non è un caso che Xavi Hernandez, da anni il miglior regista del calcio mondiale, abbia indicato in Matthew Le Tissier il suo idolo: “Un mago, un genio”. Magia e genialità: concetti ben diversi dai numeri, dalle vittorie, dai trofei, che rappresentano invece parametri utili a illudere chi non ha mai visto giocare un atleta o una squadra, di poterne comunque pesare e classificare il valore.
La scelta di Xavi va oltre e sorprende solo chi non ha visto giocare Le Tissier. Cosa possibile, anzi probabile, visto che pure i ct inglesi gli hanno concesso scarso credito: appena otto presenze in nazionale. Ben trentacinque piloti nella storia della Formula uno hanno vinto più gran premi di Gilles Villeneuve ma chi ha ammirato il canadese non baratterebbe con nessuno dei 7 titoli mondiali di Michael Schumacher il duello di Digione con Arnoux, il terzo posto nel gran premio del Canada 1981 senza alettone, il trenino di Jarama, il sorpasso a Montecarlo su Alan Jones. Ricordi e ammirazione che resistono al tempo e vanno oltre le statistiche. Anche Mariah Carey e Celin Dion hanno venduto più dischi dei Pink Floyd: ma chi è in grado di ricordarne uno?
Matthew Le Tissier è stato un talento raro, purissimo: rientrava nel campo dei campioni capaci di sorprendere, andare oltre l’immaginazione e per questo regalare emozioni. Che restano immacolate in chi ha avuto la fortuna, il privilegio, di poterle vivere. Nessuno può dimenticare i suoi gol, le sue giocate. Certamente non i tifosi e nemmeno i portieri avversari. Spesso ridicolizzati da parabole dolcissime da posizioni impossibili: chiedere a Peter Schmeichel o Tim Flowers. Cecchino implacabile anche dal dischetto: dei 162 gol realizzati dal numero sette del Southampton, 48 sono arrivati dagli undici metri, distanza dalla quale ha sbagliato solo una volta, il 24 marzo 1993 contro il Nottingham Forest, facendosi parare il rigore da Mark Crossley (“La parata che ricordo con più orgoglio”). L’ultimo gol della carriera di Le Tissier coincide con l’ultima rete segnata allo stadio The Dell, che dal 1898 al 2001 ha ospitato le gare interne del Southampton: gol-partita all’89’ nel 3-2 contro l’Arsenal.
Venerato dai tifosi dei “Santi” come una divinità (“Le God”), ha ripagato tanta fede rinunciando alle offerte delle grandi che gli proponevano cifre e ribalte più prestigiose. Rinunce che nel panorama europeo possono essere paragonate a quelle fatte da Gigi Riva per amore del Cagliari, squadra di metà classifica nella massima serie come i Saints di quegli anni. Si può spendere un’intera carriera all’Arsenal, al Manchester United, al Liverpool come al Milan, alla Juventus o all’Inter: molto più difficile dire no a queste squadre per restare a Southampton o Cagliari. Tutte e due hanno pagato il ritiro dei propri campioni con l’onta immediata della retrocessione.
Gianni Serra
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Matthew Le Tissier in azione
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