Non è uno scherzo: “Roy Hodgson è il nuovo manager del Liverpool football club”. Per lui tre anni di contratto e un budget di 20 milioni di euro da spendere sul mercato.
Altro che Hiddink, O’Neill, Lippi, Deschamps. A prendere il posto di Rafa Benitez sarà il londinese Roy Hodgson, che a 62 anni ha fatto innamorare l’Inghilterra di sé, dopo essere stato costretto per oltre trent’anni a cercar gloria all’estero. Il primo messaggio dell’ex tecnico del Fulham (che presto dovrebbe annunciare Mark Hughes come nuovo manager) è stato diretto a giocatori e tifosi: “Questo è il più grande club calcistico e sono orgoglioso di diventare manager della squadra britannica più vincente di sempre. Non vedo l’ora di incontrare giocatori, tifosi e di iniziare a lavorare a Melwood”. Da lavorare ne avrà parecchio e in fretta: il 29 luglio i reds saranno impegnati nell’andata del terzo turno preliminare di Europa League.
La squadra lasciata al termine dello scorso campionato da Rafa Benitez è piena di mediocrità e i soldi per rinforzarla molto pochi. Questi i motivi che hanno fatto credere all’amministratore delegato Martin Broughton che Hodgson, abituato a lavorare con mezzi e giocatori limitati, fosse il tecnico giusto per cavare il 110% dalle rape a disposizione. In realtà l’abitudine alla mediocrità è proprio la ragione per cui Roy Hodgson è l’acquisto peggiore che il club di Anfield potesse fare. Meglio: il manager londinese è l’uomo giusto per consolidare lo status di nobile decaduta cui il Liverpool sembra essersi condannato. Un ridimensionamento che ricorda quello subito da Ajax e Celtic.
Per i reds, dopo il trentennio di successi costruiti sull’asse Shankly-Paisley-Fagan-Dalglish, è da tempo iniziata la discesa. Il primo tassello sono state le improvvise dimissioni di Kenny Dalglish il 22 febbraio 1991, dopo un 4-4 nel derby con l’Everton, con la squadra seconda a un punto dall’Arsenal capolista. L’arrivo di Graeme Souness, formidabile regista dei reds che dominavano in patria e in Europa tra il 1977 e il 1984, avrebbe dovuto garantire continuità. E’ avvenuto il contrario: “Qui ancora si parla di Shankly ma il calcio è andato avanti”. Lo scozzese fa tabula rasa di miti e abitudini e in breve tempo i reds diventano una squadra allo sbando: Ruddock, Dicks, Walters, Stewart sono i giocatori che dovrebbero dare alla squadra l’impronta voluta da Souness. Si caratterizzeranno per rissosità e inadeguatezza. Dal secondo posto come peggior risultato possibile (“First is first, second is nothing”) si passa a posizioni di retrovia: sesti-ottavi. Quella è la nuova dimensione. La squadra va a rotoli e viene rispolverata la “boot room” (Paisley e Fagan arrivavano da lì) da dove viene chiamato Roy Evans. Con lui ritornano bel gioco e entusiasmo. Grazie anche a intuizioni come quelle di mettere John Barnes davanti alla difesa, in posizione di regista arretrato, e di dare massima liberta alla verve dei giovani talenti Rob Jones, Jamie Redknapp, Steve McManaman e soprattutto Robbie Fowler.
Sembra l’inizio di una rinascita ma la proprietà decide, incomprensibilmente, di affiancare Gerard Houllier a Evans. La diarchia dura pochi mesi. Il tempo necessario a generare equivoci, malintesi e invasioni di campo a ripetizione. L’inglese si dimette e lascia campo libero al tecnico francese. Con Houllier al timone, il gioco da spumeggiante diventa sempre più bloccato e statico. Metamorfosi impressionante. Houllier nel 2001 porta a casa un treble (Coppa Uefa, Coppa di Lega e Fa Cup) grazie all’esplosione di Michael Owen e all’emergere di Jamie Carragher e Steven Gerrard. Due colonne sui cui si fonderà l’era Benitez: lo spagnolo tra il 2004 e il 2010, porterà a casa Champions League e Supercoppa europea nel 2005, una Coppa d’Inghilterra nel 2006. Tre successi in sei stagioni. Bilancio positivo altrove, molto magro per un manager del Liverpool: per un manager “da” Liverpool. Così si spiegano il sollievo con cui è stato salutato l’accordo con l’Inter e il giudizio generalmente negativo sull’esperienza del tecnico spagnolo ad Anfield. Giudizio figlio delle altissime aspettative di tifosi che tengono l’asticella lì dove l’aveva messa Bill Shankly: “Dobbiamo essere i primi al mondo”. Coerentemente, la Kop desidera il meglio: prima dell’accordo col Real Madrid Jose Mourinho era il sogno dichiarato di una tifoseria che non vuole rassegnarsi alla posizione di rincalzo, cui Manchester United, Arsenal, Chelsea e adesso Aston Villa, Manchester City e Tottenham sembrano invece aver condannato il Liverpool. Una società guidata dal duo americano Hicks-Gillett verso la bancarotta tecnica e amministrativa: in arrivo nuove mezze tacche, con 350 milioni di debiti sul groppone, destinati a crescere sotto il peso di 30 milioni annui di interesse da ripagare.
A Purslow è stato dato l’incarico di trovare compratori e ridurre le spese, proprio per favorire la cessione del club. Accettati come ineluttabili il ridimensionamento; l’impossibilità di acquistare grandi giocatori; di trattenere i Torres, i Mascherano, i Gerrard; di agganciare i Mourinho; la speranza dei tifosi era riposta in Kenny Dalglish, che dopo anni aveva dato nuovamente la sua disponibilità a tornare su quella panchina (diventata dopo la tragedia di Hillsborough così stressante da indurlo ad abbandonare nel mezzo di un campionato tutto da giocare). Al nome Dalglish i tifosi dei reds ancora oggi rispondono immancabilmente: “legend”. E leggenda lo è davvero. Nel 1985-86, all’esordio da giocatore-allenatore, aveva trasformato la transizione post-Heysel in un periodo d’oro: sorprendentemente e immediatamente pieno di successi. Anche stavolta avrebbe riportato ad Anfield l’entusiasmo dissipato dai suoi successori e soprattutto le ambizioni e i valori che un tempo caratterizzavano il dna di questa squadra, ora appannaggio del Manchester United: giocare per vincere, il resto non conta.
Si è preferito Hodgson. Il suo pedigree è impietoso. In 34 anni di carriera ha allenato Halmstad, Bristol City, Örebro, Malmö, Neuchâtel Xamax, nazionale svizzera, Inter, Blackburn, Grasshoppers, Copenaghen, Udinese, nazionale degli Emirati Arabi Uniti, Viking, nazionale finlandese, Fulham. Un giramondo apprezzato ovunque per le buone maniere e la signorilità ma quasi da nessuna parte ricordato per bel gioco e risultati. A Milano i tifosi nerazzurri lo ricordano per aver bocciato Roberto Carlos (“Non sa difendere”) preferendogli Alessandro Pistone. Ancorato al 4-4-2 come unico schema tattico possibile, sola alternativa il 4-5-1 con la seconda punta richiamata ad aiutare il centrocampo (vero Gera?), Hodgson ha costruito sulla difesa a oltranza l’entusiasmante cavalcata del Fulham in Europa League la scorsa stagione. Squadra corta, poco spazio tra le linee, attaccanti sulla linea del centrocampo pronti a sfruttare gli spazi che inevitabilmente concedono le squadre cui vengono regalati 70 metri di campo. Roba da mezzaclassifica. E questo sembra il target del nuovo Liverpool. A cominciare dalla campagna acquisti che vede nel 29enne difensore norvegese del Fulham Brede Hangeland il primo e più ambizioso obiettivo. Giusto per scoprire le carte.
Gianni Serra
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