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Titoli di coda. Real e Juventus escono agli ottavi e cominciano i processi. A Madrid l’eliminazione per il secondo anno di fila agli ottavi di finale non poteva essere accettata con leggerezza, nonostante il campionato appena vinto dai ragazzi di Zidane. Non sono servite a mitigare le critiche a Zidane l’ammissione di colpa di Varane a fine gara (“I due gol del City sono colpa mia, mi spiace perché sono io che ho determinato l’eliminazione”) né la dimostrazione di forza del Manchester City, che davanti agli spalti vuoti dell’Ethiad Stadium ha replicato il 2-1 ottenuto quasi sei mesi fa nell’andata al Bernabeu (a spalti gremiti). Il tecnico che aveva finora vinto tutte le Champions disputate da allenatore è stato attaccato per la pochezza tattica, per i cambi tardivi, per la scelta di accantonare Vinicius e puntare dal primo minuto su Rodrygo. Scelte contestate a rinfacciate all’allenatore francese subito dopo il fischio finale.
Per Zidane, eliminato dal Manchester City di Guardiola (la squadra più attrezzata per conquistare la Champions più lunga della storia: 14 mesi), c’è già una via di fuga, che lo porterebbe dritto dritto a Torino, dove il processo a Maurizio Sarri è in corso da settimane e si chiuderà con la comunicazione di una condanna scritta da tempo. Innanzitutto dai giocatori, mai convinti di poter imparare qualcosa da chi in carriera aveva vinto “solo” un’Europa League, competizione praticamente sconosciuta in casa bianconera. La dirigenza ha dovuto prendere atto di una scintilla mai scoccata tra chi ha vinto per anni giocando di rimessa e chi all’inizio chiedeva Ronaldo centravanti, difesa alta e triangolazioni in velocità. E’ bastato poco perché Sarri smettesse di chiedere. Dopo pochi mesi si è limitato a gestire. Conseguenza del compromesso? Gioco sempre più involuto e risultati sempre più imbarazzanti.
La doppietta di Cristiano Ronaldo (rigore e gran tiro dalla distanza) ha firmato il  2-1 in rimonta sul Lione di Garcia, cui sono bastati 12 minuti e un rigore di Depay per bissare l’1-0 della gara di andata (unica sconfitta della Juventus nella Champions 2019-20). Una vittoria che ha mitigato solo in parte la delusione per un’eliminazione figlia della manovra lenta e inconcludente che ha caratterizzato l’epilogo del campionato conquistato per la nona volta consecutiva.
Purtroppo per Sarri la costanza dei successi in patria ha finito per alleggerire il peso specifico dello scudetto, aumentando in maniera esponenziale quello della Champions, sogno (incubo) ricorrente in casa bianconera. Il margine sul resto della serie A è tale che vincere il tricolore rappresenta il minimo sindacale per qualunque allenatore della Juve. Minimo insufficiente per chi, come Sarri, era stato chiamato per combinare risultati e bel gioco. Se, tra uno sbadiglio e un’imprecazione, perdi coppa Italia, supercoppa e Champions e non trovi mai uno straccio di giocatore pronto a difenderti o assumersi le sue responsabilità, il verdetto è scontato. Nessun Varane in casa bianconera.
Lo sa bene l’ex tecnico del Napoli, che a fine a gara si è aggrappato all’unica cosa rimasta: “Ho un contratto e intendo rispettarlo”. Lui sì, Agnelli no. La società è pronta a pagare due allenatori, come accaduto quest’anno con Allegri per l’intera stagione a libro paga. Solo l’improbabile conquista della Champions avrebbe potuto salvare Sarri dall’esonero. Ma nessuno ci ha mai creduto davvero. LECHAMPIONS EUROPA 

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