Difficilmente John Terry conosce la canzone di Francesco De Gregori “La leva calcistica della classe ’68”, quella che recita “Nino non aver paura di sbagliare un calcio di rigore”. Non ha avuto di certo timore il capitano del Chelsea di andare sul dischetto per la trasformazione che avrebbe potuto dare la prima Champions League ai blues. Undici metri per la storia, undici metri tra la realizzazione di “quel sogno che comincia da bambino” (Bennato, Notti magiche). Perché chiunque sogna di arrivare al punto di tirare il rigore decisivo in una finale di Coppa dei Campioni (a noi romantici del pallone piace ancora chiamarla così). Ma il confine tra il sogno e l’incubo è labile, talmente sottile che basta un campo allentato dalla pioggia e un piede che ti abbandona nel momento decisivo per cambiare il corso della storia (sportiva). Il pallone a lato, il capitano a terra in lacrime. La Coppa non era ancora del Manchester ma si sa, il destino sa essere crudele e forse John Terry aveva già capito come sarebbe finita. Perché a volte il treno passa una sola volta nella vita. Su quel treno Terry, e con lui tutto il Chelsea, non è riuscito a salire nonostante sia arrivato a un passo. Le lacrime del capitano del Chelsea si sono confuse tra la pioggia battente nella notte di Mosca e quelle di gioia dei giocatori del Manchester, quasi increduli per un esito che pareva ormai segnato. Loro la seconda opportunità l’hanno avuta e sfruttata. Lo sport a volte sa essere spietato e, al di là degli interessi economici che ci girano intorno e che spesso lo rendono meno affascinante, è comunque capace di raccontare storie di vittorie straordinarie e impensabili ma anche di clamorose sconfitte. E di ricordare a tutti che dietro un campione c’è prima di tutto un uomo. Da sempre su chi perde in un certo modo, si concentrano, empaticamente, il consenso e l’affetto. Ecco perché da oggi John Terry è “uno di noi”, uno che con la sua vicenda e con le sue lacrime verrà sempre amato, forse anche più che se avesse realizzato quel maledetto rigore. Perché, d’altronde, “non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore”. LECHAMPIONS EUROPA

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