Una partita di campionato. Non decisiva (potrebbe esserlo alla quinta giornata?). Ma Manchester City-Arsenal è la prima sfida stagionale tra ricchi e “poveri”. Tra squadre costruite su filosofie opposte nello scegliere i giocatori e nel perseguire i risultati.
Da una parte il Manchester City di Mark Hughes ma soprattutto dell’Abu Dhabi United Group. Società degli Emirati arabi dello sceicco Sheikh Mansour bin Zayed Al Nahyan, rappresentato dal presidente Khaldoon Al Mubarak. La nuova proprietà, subentrata nel settembre 2008 all’ex premier thailandese Shinawatra (alle prese con svariati guai giudiziari), si era presentata acquistando dal Real Madrid Robinho per 42 milioni di euro. Gran colpo convincere il brasiliano a non firmare per il Chelsea di Scolari e portarlo a Manchester. Anche perché si dava subito il messaggio di una rivoluzione alle porte: Abramovich e il Chelsea sono già il passato, il futuro è qui. Ingresso in grande stile con un’operazione perfetta da un punto di vista tecnico (Robinho è un campione), commerciale (magliette vendute, diritti televisivi, pubblicità rinegoziate), d’immagine (pur senza vincere nulla il City metteva in seconda fila lo United). Era solo l’inizio. Nella finestra di gennaio, fallito l’assalto a Kakà, sono stati presi tre pezzi da novanta come Shay Given, Craig Bellamy e Nigel De Jong. In estate sono stati spesi oltre cento milioni di sterline per Gareth Barry (12 milioni), Roque Santa Cruz (18), Carlos Tévez (30), Joleon Lescott (24), Emmanuel Adebayor (25), Kolo Touré (16). A questi si è aggiunto Sylvinho: al neo campione d’Europa, liberato dal Barcellona, è stato offerto un contratto annuale.
Se il passaggio che ha fatto più rumore è stato quello di Tevez, portato via ai concittadini dello United, i giocatori chiave per i destini della squadra sono i due strappati all’Arsenal. Toure, cui è stata affidata la fascia di capitano, dopo aver fatto fuori senza troppi scrupoli Richard Dunne, costretto ad accettare l’offerta dell’Aston Villa (“Bastava essere chiari e invece hanno cercato di vendermi a tutti, senza però mai dirmelo”). L’ivoriano dovrà guidare una difesa che con Micah Richards a destra, Wayne Bridge a sinistra e Joleon Lescott al centro si presenta molto forte e dinamica sulla carta, con l’ulteriore garanzia di uno degli migliori portieri al mondo come Shay Given. Il neo potrebbe essere la velocità e qui sarà decisivo Toure, uno dei difensori più rapidi in circolazione. In avanti la quantità di contropiedisti a disposizione di Hughes è enorme ma se Santa Cruz è l’unico sfondatore, solo Adebayor ha le qualità per tenere palla e far salire la squadra in modo ordinato.
Quello del City è stato un mercato secondo solo a quello del Real Madrid di Perez eppure molto meno mediatico. Sheikh Mansour ha esaudito le indicazioni di Mark Hughes alla lettera: acquisti e cessioni sono state portate avanti secondo i desideri del manager gallese. Un allenatore, ereditato dalla precedente proprietà, che tutti davano sicuro partente alla fine della scorsa stagione (bilancio finale: 10° posto in campionato e quarti di finale in Coppa Uefa), è stato invece confermato dalla proprietà: “Questa società ha cambiato troppo negli ultimi anni e anche per questo non ha saputo costruire le basi per diventare vincente. Noi invece vogliamo proprio questo: iniziare a vincere e soprattutto continuare a farlo. E per questo serve continuità. Cambiare Hughes non ha senso, andremo avanti con lui”. Sono stati di parola e hanno dato all’ex punta di Barcellona, Manchester United e Chelsea carta bianca. Per il City, che deve recuperare una partita, finora tre vittorie su tre gare. I gunners però rappresentano il primo vero banco di prova per vedere se davvero in una sola estate si può passare dal decimo posto al ruolo di aspirante al titolo.
Tutt’altro film nei dintorni dell’Emirates stadium. Arsene Wenger, come ormai fa da anni, sopravvissuto al ciclone delle cessioni del mercato estivo, mette insieme i pezzi residui e riparte alla carica, con la convinzione – sempre dichiarata – di riuscire a vincere qualcosa. Una professione di fede che puntualmente si scontra con uno scetticismo diffuso: da almeno cinque stagioni ad agosto tutti, tifosi inclusi, non accreditano la sua squadra più di un quarto posto. Eppure riesce sempre a sorprendere e far vedere per lunghi tratti il miglior calcio, accompagnato da risultati. E’ stato così dopo gli addii di Vieira, di Campbell, di Bergkamp, di Henry, giusto per restare alle partenze più recenti.
Wenger ha sempre ricostruito la squadra avendo ben chiari schema (4-4-2) e sistema di gioco (pressing nella propria metà campo, contropiede veloce, massimo a due tocchi). Su questi punti fermi ha scelto i giocatori che meglio si adattavano: Rosicky, Van Persie, Walcott, Arshavin. Ma la delusione della sconfitta nell’ultima semifinale di Champions League contro il Manchester United (dopo dieci minuti la gara di ritorno all’Emirates stadium era già finita) ha spinto Wenger a riconsiderare tante cose. Lo aveva preannunciato nell’immediato dopogara: “Doveva essere la partita della vita e non l’abbiamo praticamente giocata. E’ la delusione maggiore della mia carriera. Bisogna assorbirla, metabolizzarla e analizzare bene cosa fare. Di certo cambieremo qualcosa”. E’ stato di parola. In Champions League la scorsa stagione Andrej Arshavin non era utilizzabile e la differenza era visibile: con lui in campionato l’Arsenal non aveva mai perso e partite come il 4-4 contro il Liverpool con poker del russo davano la misura di cosa avrebbe potuto essere la nuova squadra se attorno al numero 23 ci fossero stati compagni capaci di proteggere le gemme prodotte da questo talento esplosivo. La prima decisione è stata passare al 4-3-3, con Arshavin parte di un tridente che poteva schierare col russo due tra Van Persie, Rosicky, Eduardo, Vela o Bendtner. Per compensare l’attaccante in più andava modificata qualcosa dientro e in questo senso l’acquisto dall’Ajax del centrale difensivo belga Thomas Vermaelen è stato un colpo da maestro: 10 milioni di euro per un giocatore che ha già fatto dimenticare Toure. Vermaelen-Gallas è al momento la miglior coppia di difensori centrali della Premiership inglese e forse dell’intera Champions League. Un colpo di genio vanificato in parte dalla scelta di puntare ancora una volta su Almunia. Il portiere spagnolo ha buone qualità atletiche ma troppo spesso ha deluso nei momenti importanti a causa di alcune (apparentemente) ineliminabili deficienze tecniche: mediocre nel piazzamento della barriera, incerto sui cross, avventato nelle uscite basse. All’Arsenal manca un portiere che dia sicurezza e nelle partite decisive si vede. L’altro “errore” di Wenger è aver sempre evitato di prendere un centravanti capace di fare gol a prescindere dal lavoro della squadra. Il tecnico francese all’inizio della sua esperienza coi gunners si era trovato in attacco la partnership tra Dennis Bergkamp e Ian Wright. Più rifinitore l’olandese, finalizzatore l’inglese, classico centravanti. Ma per la sostituzione di Wright sono stati impiegati da Wenger giocatori di movimento come Anelka prima e Henry poi. Gente capace di svariare e concludere in più modi ma non certo tradizionali terminali offensivi. Il gioco d’attacco dell’Arsenal, molto fluido e pieno di opportunità, manderebbe in gol chiunque e per questo le statistiche sono per una volta fuorvianti. Perché nascondono le difficoltà mostrate da attaccanti apparentemente prolifici come gli Henry o gli Adebayor nelle occasioni più importanti contro le migliori squadre del continente: vedi finale Champions league 2006 o semifinale 2009. Avere gli Inzaghi, i Trezeguet, i Van Nistelrooy ha assicurato alle loro squadre gol a prescidere dalla qualità e quantità dei rifornimenti dei compagni. L’abilità di sfruttare gli errori avversari fa spesso la differenza al massimo livello e la scelta di Wenger, di non voler “vincere brutto” e di puntare solo sui propri meriti e abilità gli fa onore ma si è rivelata un limite. La recente sconfitta in campionato contro il Manchester United, appena tre mesi dopo la semifinale di Champions League, è stata indicativa in questo senso. L’Arsenal ha letteralmente dominato la gara, riuscendo non solo a colmare il gap visto in Coppa ma addirittura a capovolgere i ruoli. Un gol fantastico di Arshavin al 40′, assente in Coppa, aveva avuto il merito di dare riscontro numerico a una lezione di gioco che aveva ridotto lo United al rango di sparring partner in casa propria. Incredibile per chi aveva visto il divario tra le due formazioni nell’incontro precedente. E non bastavano certo le assenze di Tevez e Cristiano Ronaldo a giustificare un simile one-team-show. Con l’Old Trafford impietrito è stata la solita sconsiderata uscita di Almunia a rimettere in piedi l’avversario, regalando al 59′ un rigore che Rooney ha trasformato. Non solo i gunners non sanno mettere ko gli avversari ma spesso danno loro una mano a rialzarsi. Anche due: e così dopo cinque minuti Diaby, sempre più a suo agio nel ruolo che era di Vieira, ha messo dentro il più sfortunato degli autogol. Sopra nel punteggio quasi senza volerlo, lo United, incoraggiato dal risultato non certo dal gioco espresso, ha messo il fiocco sulla gara, spegnendo progressivamente l’entusiasmo dei ragazzi di Wenger, capaci ad onor del vero di pareggiare a fine gara con un gol annullato per un fuorigioco di pochi centimetri. Prima sconfitta con Arshavin in campo. Se per il City la sfida di sabato è il primo vero test per l’Arsenal rischia di essere l’ultimo. ECL