

Un raggio di classe. Centravanti nell’Arsenal, centrocampista nel Liverpool, un giocatore unico. Nel calcio inglese degli anni Settanta Ray Kennedy ha rappresentato un modello di eleganza e portamento. Testa alta, busto eretto, corsa leggera. Giocate mai banali eppure sempre così in controllo da farle apparire semplici e naturali.
A 70 anni è scomparso Ray Kennedy, punto fermo del Liverpool che dominava il calcio europeo a cavallo degli Settanta e Ottanta. Un campione, diventato un esempio di coraggio nell’affrontare la battaglia contro il morbo di Parkinson, scoperto nel 1986 sul finire della carriera.
Il suo primo allenatore era stato sir Stanley Matthews. Al Port Vale, quando Ray aveva 16 anni, si era preoccupato di scrivere ai genitori una lettera spiegandogli perché avrebbe rimandato a casa il figlio, ritenendolo troppo lento e non portato per questo sport. Matthews prega i genitori di prepararlo a quella che sarebbe stata una forte delusione: «È importante che porti avanti con impegno gli studi per potersi costruire una carriera in un altro campo». Quella lettera, che denotava l’umanità e il senso di responsabilità di un mito del calcio mondiale verso i suoi allievi, è stata spesso utilizzata per ridicolizzare le capacità di Matthews, e dei grandi giocatori in genere, di capire quando hanno davanti agli occhi un giovane di talento. «Non posso avercela con lui perché aveva ragione. Ero lento. Molto lento. Alla sua età lui correva più veloce di me e poteva battermi negli scatti testa a testa, cosa che non era accettabile per una punta. E comunque è stato molto contento dei successi che ho ottenuto in seguito e lo ha scritto più volte ai miei genitori».
Una volta rientrato a casa Ray continua a giocare coi dilettanti locali e qui viene notato da un osservatore dell’Arsenal. A Londra si impone come un vero dominatore dell’area di rigore: in sei stagioni mantiene la media realizzativa di un gol ogni tre gare. Gol pesanti. Come quello contro l’Anderlecht nella finale di andata di Coppa delle Fiere: entrato in campo sul 3-0 per i padroni di casa, segna il gol della bandiera per i gunners; segnatura che si rivelerà decisiva per la conquista della Coppa dopo il 3-0 realizzato a Londra nella gara di ritorno. Per l’Arsenal è il primo trofeo dopo 17 anni di astinenza. Sempre di testa Kennedy segna il gol che l’anno dopo, nella stagione del Double, assegna il campionato all’Arsenal nel derby del Nord di Londra contro il Tottenham.
Quello che si impone ad Highbury è un centravanti giovane tutto potenza: ottima sponda e implacabile finalizzatore dei cross dei compagni. Colpi di testa potenti e precisi, con stacco da fermo o in acrobazia: un po’ Tony Hateley, un po’ John Toshack. La stagione 1973-74 nonostante Kennedy dimostri una forma fisica eccezionale, disputando da titolare tutte le partite della stagione, si conclude per i gunners con un deludente decimo posto in classifica. È la conferma del declino della squadra che nel 1971 aveva vinto realizzato l’accoppiata campionato-FA Cup, un declino che nasce nell’ultima giornata del torneo 1972-73 quando l’Arsenal perde 6-1 a Leeds, classificandosi seconda dietro il Liverpool. Due stagioni a mani vuote spingono il manager Bertie Mee a cambiare schemi e giocatori. Già ceduto McClintock al Queen’s Park Rangers, viene messo sul mercato anche Kennedy.
Il 12 luglio 1974 nella storia del calcio inglese è il giorno delle dimissioni di Bill Shankly dal Liverpool. Un annuncio-choc che mette in secondo piano quella che avrebbe dovuto essere la presentazione del nuovo centravanti del Liverpool: Ray Kennedy. «Nell’ultima stagione all’Arsenal ho giocato tutte le partite ma le cose stavano cambiando, tante cessioni e non credo che facessi parte del nuovo progetto. Ho chiarito subito che sarei andato solo in due squadre: Liverpool o Leeds. Spero di piacere alla Kop. Voglio dimostrare che sono più di un giocatore di sfondamento».
Acquistato da Shankly, Kennedy si ritrova come allenatore Bob Paisley. Promosso manager suo malgrado. Indicativo il ricordo di Ray Clemence: «Non dimenticherò mai l’immagine di Bob nello spogliatoio nel primo giorno di preparazione nell’estate del 1974. Ci disse ‘Shanks se ne andato e hanno dato l’incarico a me anche se non lo volevo. Ma dobbiamo portare avanti il lavoro che lui ha cominciato’. Accettare quel lavoro per lui era un dovere, non certo un’ambizione».
È un inizio per tutti. In avanti la prima scelta come punta centrale resta Toshack. Kennedy viene visto come un’ottima alternativa al gallese che, alla quarta di campionato, pochi minuti dopo aver siglato il 2-0 contro il Wolverhampton, viene messo ko da un infortunio. Questa indisponibilità apre le porte all’esordio di Kennedy. La settimana dopo, contro il Chelsea, la maglia di Toshack è sulle spalle dell’ex centravanti dell’Arsenal che impiega appena 22 minuti per andare in gol, dando il via al 3-0 con cui i reds espugnano Stamford Bridge. A segno anche nella partita successiva vinta 5-2 sul Tottenham, e nel 2-0 sul Brentford in Coppa di Lega. Sempre a segno nelle prime tre partite, già ci si chiede come farà Paisley a tenere fuori Kennedy (o come potrà farlo convivere con Toshack). Ritrova la via della rete contro i dilettanti dello Strømsgodset nella gara di andata del primo turno di Coppa delle Coppe, giusto in tempo per segnare l’ultimo gol in un 11-0 che rappresenta la più larga vittoria nella storia del Liverpool. Per Kennedy sono quattro gol in cinque uscite.
Ma nella seconda metà di settembre il calo di forma della squadra è impressionante: dopo un facile 3-0 sullo Stoke City i reds, perdono in casa 1-0 contro il Burnley e con lo stesso punteggio a Bramall Lane contro lo Sheffield United. Nonostante l’improvvisa crisi di segnature di una formazione solitamente prolifica Paisley conferma fiducia al suo centravanti, lasciando in panchina Toshack. Con due 1-0 di fila il Liverpool si aggiudica il ritorno di Coppa delle Coppe contro lo Strømsgodset e la sfida di campionato contro il Carlisle: entrambi i gol a firma Ray Kennedy. Che rimarrà all’asciutto in due occasioni prima di segnare una doppietta nel 4-0 del replay del terzo turno di Coppa di Lega contro il Bristol City. La sequenza di segnature s’interrompe per sei partite, tra le quali una sconfitta con l’Ipswich e l’eliminazione dalla Coppa delle Coppe per mano del Ferencvaros (1-1 a Anfield e 0-0 in Ungheria).
Bob Paisley dopo il 4-1 subìto a Newcastle lascia fuori Lindsay, Cormack e Toshack per riproporre Smith, McDermott e Kennedy. Il tecnico cerca di combattere il calo di forma dei reds e la mancanza di continuità di risultati con altri cambiamenti: nel derby contro l’Everton i terzini Smith e Neal si scambiano le fasce, esce McDermott e rientra Cormack, esce Kennedy ritorna Toshack. I risultati non cambiano e arrivano sei pareggi consecutivi. L’ultimo il 19 marzo 1975 contro il Leicester City: 1-1 con gol di Toshack e ingresso in campo di Ray Kennedy durante la gara al posto di Steve Heighway sulla fascia sinistra.
È la prima volta che Paisley prova l’ex centravanti dell’Arsenal in un altro ruolo. Piazzarlo sulla fascia al posto di Heighway poi è una scelta apparentemente incomprensibile: quanto è veloce Heighway è lento Kennedy, il primo salta l’uomo, l’altro passa la palla. Difficile immaginare due giocatori più diversi per uno stesso ruolo. Heighway è la classica ala tutta dribbling e cross.
L’esperimento di Kennedy a centrocampo viene riproposto nell’ultima mezz’ora contro il Birmingham City al posto di Brian Hall. Nonostante la mancanza di continuità il campionato si chiude con un secondo posto a pari punti con l’Ipswich, due in meno del Derby campione. Ma la sensazione generale è di un’annata sprecata. A posteriori si può dire che così non fu, perché il 1974-75 è la stagione che ha visto l’esordio con la maglia del Liverpool di Ray Kennedy, Phil Neal, Terry McDermott e Jimmy Case. Quattro colonne della squadra che avrebbe dominato in patria e in Europa.
Il clic arriva nella stagione 1975-76 tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre. Il primo assaggio nella gara di andata del secondo turno di Coppa Uefa a San Sebastian, dove i reds vincono 3-1 in trasferta contro il Real Sociedad. Ma è nella gara di ritorno ad Anfield che il Liverpool getta la maschera: 6-0 con doppietta di Kennedy e reti di Toshack, Heighway, Neal e Fairclough, il panchinaro più incisivo della storia del club. Il centrocampo contro i baschi vede l’eterno Ian Callaghan davanti alla difesa, i due laureati Brian Hall e Steve Heighway rispettivamente a destra e a sinistra, con Ray Kennedy vertice alto dietro le due punte. Quel rombo segnerà un decennio di calcio inglese e europeo: i quattro mettono insieme una prestazione monstre che per la prima volta dà la misura delle potenzialità di questa squadra, di certo non inferiori a quelle di Ajax, Bayern, Borussia Moenchengladbach o Barcellona.
Il 22 novembre contro il Coventry Ray Kennedy viene schierato a sinistra con la maglia numero 5. Per lui gli esperimenti finiscono il quel momento: quel numero e quel ruolo per sei stagioni saranno suoi. Gioca sulla sinistra ma nessuno lo definirebbe un giocatore di fascia, l’interpretazione del ruolo è inedita e originale: l’ex centravanti dell’Arsenal gioca a testa alta, legge meglio di chiunque altro i movimenti dei compagni e degli avversari, vede i buchi nella difesa e spesso li crea, ha la capacità di materializzarsi quasi all’improvviso in area e possiede l’abilità tecnica di sfruttare al meglio queste penetrazioni. Molti considerano l’invenzione di Kennedy centrocampista un colpo di genio e la prova della bravura di Paisley, capace di vedere oltre l’evidenza di un centravanti di sfondamento a disagio fuori dall’area di rigore. Chi ha conosciuto solo il Ray Kennedy versione Liverpool, centrocampista dalla tecnica raffinata e con un enorme intuito tattico faticherà a immaginarlo centravanti boa nell’Arsenal.
«Tatticamente Ray era di un altro pianeta. Aveva un tocco di palla delicato, un piede sinistro molto sensibile e un senso della posizione fenomenale. Io coprivo molto più terreno, contrastavo di più, lui copriva meno ma usava di più la testa. Funzionavamo bene assieme. Il suo punto forte era il tempismo. Ricevevo la palla, lo guardavo e lui era già partito. Una corsa perfetta, spariva dalla fascia sinistra per materializzarsi nell’area avversaria, con il suo marcatore lasciato di sasso parecchi metri indietro». La fotografia è del compagno di reparto Jimmy Case.
A dieci anni esatti dalla vittoria del campionato 1966 e dalla sconfitta in finale di Coppa delle Coppe contro il Borussia Dortmund, il Liverpool vince il campionato con un punto di vantaggio sul Queens Park Rangers e tre sul Manchester United, e conquista la Coppa Uefa superando in finale i belgi del Bruges. È la doppietta di una squadra consapevole di poter primeggiare sia in patria che in Europa contro avversarie di primissimo rango. In coppa Uefa dopo i successi su Hibernian, Real Sociedad e Slask Wroclaw, arrivano quelli sul “portafortuna” Dinamo Dresda (2-1 a Anfield dopo lo 0-0 in Germania con un rigore parato da Clemence, ripetendo l’impresa di tre anni prima nello stesso turno) e in semifinale sul Barcellona di Cruyff e Neeskens. Contro i blaugrana nella gara di andata al Camp Nou i reds vincono 1-0 grazie a un gol di Toshack al 13’, e mettono in mostra una perfetta sincronia di movimenti che sembra ipnotizzare il Barca. I fischi che accompagnano l’uscita dal campo della squadra di casa a fine gara segnano la fine dell’avventura in panchina di Hennes Weisweiler. Nel match di ritorno ad Anfield sulla panchina blaugrana siede Laureano Ruiz ma i catalani non vanno oltre l’1-1.
La finale col Bruges è un momento decisivo nella crescita del Liverpool. In una ipotetica top 10 delle partite che hanno cambiato la storia di questo club, la gara d’andata coi belgi c’entra di diritto. Ad Anfield Lambert e Cools portano in vantaggio gli ospiti che chiudono il primo tempo sul due a zero. Nell’intervallo Paisley lascia fuori Toshack («Non stava giocando male ma bisognava cambiare gioco») e mette al suo posto Jimmy Case. Al 59’ Ray Kennedy segna l’1-2 dal limite sinistro dell’area. Ci riprova due minuti dopo e colpisce il palo, Case mette dentro la ribattuta. Due pari. Ancora due minuti e Steve Heighway viene atterrato in area. Rigore che Keegan trasforma: da 0-2 a 3-2 in sei minuti. Per rivedere a questi livelli un simile prodigio di furore agonistico bisognerà aspettare 29 anni. (E andare a Istanbul). La gara di ritorno in Belgio finisce 1-1 con Keegan che segna su punizione con un rasoterra dal limite. Realizzando l’accoppiata Campionato-Coppa Uefa alla seconda stagione da allenatore Paisley ha già eguagliato la migliore annata, in termini di trofei, di Bill Shankly (il 1973). Un successo che accrescerà fiducia in se stesso e autorevolezza presso giocatori e stampa, ingredienti fondamentali per i successi che seguiranno: altri quattro campionati, una Coppa di Lega, una Supercoppa europea e le tre Coppe Campioni vinte all’Olimpico di Roma (3-1 sul Borussia Moenchengladbach), a Wembley (1-0 sul Bruges) e al Parco dei Principi (1-0 sul Real Madrid). Il trionfo del 27 maggio 1981 a Parigi segna però uno spartiacque: Ray Clemence negli spogliatoi decide di lasciare, inizia l’era dei Grobbelaar, dei Rush, dei Johnston e dei Whelan. La stagione 1981-82 vede il Liverpool procedere a tentoni. In Coppa di Lega ad Highbury contro l’Arsenal anche lo 0-0 è un buon risultato, ottenuto in inferiorità numerica per più di 50 minuti dopo l’espulsione di Ray Kennedy per somma d’ammonizioni. Il numero 5 del Liverpool si riscatta andando a segno nel 2-0 al City Ground contro il Nottingham Forest e giocando 120 minuti nel replay contro i gunners, vinto 3-0 con tre gol nei supplementari di Craig Johnston, McDermott e Dalglish. Il peso di questa partita sommato alla scelta di arrivare a Tokyo all’ultimo momento avranno un peso decisivo sulla prestazione contro i campioni del Sud America del Flamengo. È la prima volta che il Liverpool accetta di disputare la Coppa Intercontinentale e di fronte trova una squadra che schiera i migliori giocatori brasiliani del momento: Leandro, Mozer, Junior, Tita e soprattutto Zico. Il 3-0 finale punisce forse troppo il Liverpool ma la squadra di Paisley sarebbe potuta restare in campo da sola e non avrebbe mai segnato. Partita mal preparata e giocata peggio.
Un rientro amaro per tutti. Soprattutto per Ray Kennedy. Quello che per ammissione dello stesso Paisley era «Il giocatore più richiesto dai manager avversari» e che aveva giocato trecento minuti nelle ultime tre gare, dopo quasi quattrocento partite da titolare viene accantonato. Ad Anfield contro il Manchester City Paisley decide di dare un taglio netto con il passato, con il preciso intento di dare una scossa decisiva a una squadra finora troppo incostante per poter ambire credibilmente a qualunque successo. La maglia numero 5 viene assegnata a Ronnie Whelan, la 10 di McDermott a Craig Johnston. Il centrocampista irlandese fa intravedere parecchie delle sue qualità e va anche a segno ma si tratta del gol della bandiera: finisce 3-1 per il City con Grobbelaar che ne combina di tutti i colori mettendo in serio imbarazzo compagni e tifosi. Anfield espugnato per la seconda volta in un mese e mezzo. Il Liverpool chiude così l’anno al dodicesimo posto, a 9 lunghezze dallo Swansea capolista.
Il 2 gennaio 1982 al Vetch stadium lo Swansea ospita il Liverpool per il Terzo turno di FA Cup. La fascia di capitano motiva ancora di più Souness che guida la squadra a un netto 4-0 sulla rivelazione della stagione. Nel poker spiccano la doppietta di Rush e una prestazione eccellente di Whelan a centrocampo. Il giovane irlandese va ancora in gol nel 3-0 al West Ham. Ray Kennedy non viene nemmeno convocato in panchina, ormai è fuori squadra. Nessun riguardo per quello che era stato definito da Bill Shankly «Un grande giocatore. Ray mi ricorda Matt Busby. Ha classe, stile, gioca in un mondo tutto suo ma è lui che bilancia la squadra». Tutto cancellato. Il Liverpool accetta l’offerta di John Toshack e lascia andare Ray Kennedy allo Swansea. Il suo esordio nella squadra gallese, reduce da un improvviso calo di forma e due sconfitte consecutive, è fulminante: 2-0 al Manchester United, con una prova che non lascia dubbi sulla professionalità e sulle qualità intatte dell’ex centrocampista del Liverpool. Le cose andranno peggio nella seconda stagione al punto da spingere Toshack ad accusarlo pubblicamente di non impegnarsi abbastanza. In realtà è tutto lo Swansea che non va come prima e il calo di rendimento di Kennedy ha più a che fare con problemi fisici che con la mancanza di impegno.
Lo Swansea retrocede e subito dopo l’inizio della stagione 1983-84 Kennedy sceglie di tornare al suo primo club l’Hartlepool. I problemi fisici aumentano sino a spingerlo al ritiro. A 36 anni scopre di avere il morbo di Parkinson. Una malattia che affronta con tanta dignità e molte difficoltà, anche economiche, al punto da esser costretto a vedere medaglie e trofei vinti in carriera. Ma senza mai commiserarsi, come si può leggere nella sua biografia “Ray of light”, Raggio di luce: efficace gioco di parole col suo nome e la speranza di una via d’uscita da una condizione sfortunata.
Nel 1991 Arsenal e Liverpool hanno organizzato ad Highbury un testimonial match per contribuire alle cure necessarie a un campione mai dimenticato. Come ha detto Ian Callaghan: «Ray Kennedy era un giocatore fantastico. Devi esserlo per diventare uno dei preferiti sia dei tifosi dell’Arsenal che del Liverpool». LECHAMPIONS EUROPA
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