“Sì, l’ho toccata e ho continuato a giocare”. Thierry Henry ha finalmente gettato la maschera. Non perché alla fine dello spareggio Francia-Irlanda che ha dato ai francesi la qualificazione al mondiale in Sudafrica ha ammesso il fallo di mano che ha determinato l’1-1 finale, cos’altro poteva dire di fronte al replay? Ma perché quella furbata ha squarciato il velo di ipocrisia che ammanta e protegge certi personaggi e certi ambienti.

La scorrettezza, l’esultanza successiva, l’ammissione senza intimo pentimento sono tipici del mondo del calcio e più in generale di quello che ci ostiniamo a chiamare sport. Thierry Henry è assolutamente organico a questo sistema, eppure negli anni gli è stata costruita addosso un’immagine diversa. E per questo è stato scelto come testimonial nelle campagne contro il razzismo negli stadi e per promuovere il fair play nel calcio. E’ il capitano della nazionale francese e gioca in una squadra che sul petto esibisce logo e scritta Unicef. Tutto utile a creare un’icona di lealtà sportiva, un modello di eleganza e correttezza, paragonato a Tiger Woods e Roger Federer, e per questo scelto assieme a loro per una reclame pubblicitaria.

Eppure Henry è l’uomo che aveva detto che non avrebbe mai lasciato l’Arsenal perché Highbury era la sua casa, Wenger il suo maestro, i gunners la sua gente, etc., per poi accasarsi a Barcellona con dodici mesi di ritardo, quando le sue richieste sono state soddisfatte. Un anno più tardi aveva detto di sentire nostalgia di Londra: aveva capito che al Camp Nou non avrebbe potuto giocare da centravanti come sperava ma solo sulla fascia sinistra, salvo poi ricredersi e giurare fedeltà al club catalano quando ha iniziato a segnare con regolarità anche da quella posizione. Cosa accomunasse Londra, Chelsea, Manchester United, Eto’o, Rijkaard non è mai stato chiaro, ma la coincidenza con la separazione dalla moglie è stata utile per un colpo di spugna sull’apparente confusione dell’attaccante transalpino.

Nonostante dichiarazioni e comportamenti spesso contraddittori Henry gode sempre di ottima reputazione. Si tratta di sola immagine, perché Thierry Henry in tutta la sua carriera non può vantare un solo episodio che lo possa affiancare a chi per lealtà verso il pubblico e gli avversari ha avuto il coraggio di rifiutare un vantaggio illegittimo, pronto a scontrarsi con l’incredulità, il fastidio, la rabbia dei propri tifosi, dirigenti e compagni. Paolo Di Canio in Everton-West Ham del 18 dicembre 2000, col portiere avversario a terra e la porta vuota, aveva bloccato la palla con le mani anziché depositarla in rete. Il centravanti del Liverpool Robbie Fowler, il 24 marzo 1997 in una sfida di campionato ad Highbury contro l’Arsenal, aveva detto all’arbitro di non aver subìto fallo e di non concedere il rigore. Comportamento così inusuale che ha colto di sorpresa il direttore di gara, al punto da fargli pensare che ci fosse dietro una trappola: meglio confermare il penalty. Ma il buon esempio, anche se isolato, rimane. E qualcuno imita. Come Costin Lazar, centrocampista rumeno del Rapid Bucarest, che a differenza di Fowler riesce a convincere l’arbitro a ritornare sulla sua decisione nella sfida contro l’Oteful Galati del 21 marzo di quest’anno.

Casi rari. Rarissimi e per questo facili da ricordare. La norma, purtroppo, è Henry. Calciatore di grande abilità, non troverebbe posto altrimenti nell’attacco del Barcellona, ma non certo uno sportivo. Quel doppio tocco di mano, dopo aver smorzato il pallone con l’avambraccio, gli ha consentito di controllare una palla che le sue doti calcistiche non gli avevano permesso di domare, di regalare un assist sulla linea di porta a Gallas e la qualificazione mondiale alla Francia. Una sequenza che lo rivela per quello che è: dopo la mano, l’assist e il gol segue l’esultanza sfrenata, con gli occhi suoi (e di Gallas) rivolti vero il tabellone dello stadio nel timore di un replay. Lo sguardo di un imbroglione. Come tanti, né più né meno. Furbo. Eroe. Capitano. L’Irlanda rimane a casa. Ai mondiali ci va la Francia. Giusto ci vada così: con le scuse postume di Henry, che ricordano quelle del tennista Agassi. Altro modello moderno di sportività che vuota il sacco a distanza di anni. Una ripulita alla coscienza non alla bacheca o al conto in banca: emozioni rubate, vittorie, coppe e soldi guadagnati illecitamente non tornano indietro. LECHAMPIONS EUROPA

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