Lezione di calcio? No, quella il Barcellona l’aveva già impartita a San Siro. Al Camp Nou l’Inter ha “solo” rimediato una brutta sconfitta.
Dalla quale è difficile trarre spunti positivi per il futuro: ne escono tutti ridimensionati. Società, squadra, allenatore. Quel gruppo che nel campionato italiano appare granitico, sfrontato, implacabile, in Europa si rivela puntualmente fragile, timido, impaurito. Mourinho aveva presentato questa gara come un esame di maturità: “Non sarà la tattica a fare la differenza ma la personalità”. La prova è stata fallita impietosamente. Nonostante il monte stipendi delle due squadre dica il contrario, i nerazzurri di fronte a un Barcellona rimaneggiato negli uomini ma non nel gioco hanno dimostrato di valere meno dei colleghi catalani. Il 2-0 finale, maturato nella prima mezzora grazie ai gol di Piqué e Pedro, non fotografa il divario di qualità e di intensità di gioco che si è visto in campo: un 4-0 avrebbe reso meglio l’idea. E a portieri invertiti ci sarebbe scappato qualche altro gol ancora. Julio Cesar è stato il migliore dei nerazzurri e la fenomenale parata che ha negato il 3-0 a Keita vale bene un gol in serpentina di Messi o gol volante di tacco di Ibrahiomovic. Guardiola si è permesso di tenerli entrambi in panchina per tutta la gara, in vista dello scontro in campionato con il Real Madrid.
Il Barcellona ha un impianto di gioco che sublima le individualità ma non dipende da loro: contro l’Inter ha dimostrato di poter fare a meno in attacco di Ibra e Messi, altre volte ha rinunciato a centrocampo a Xavi e Iniesta o in difesa a Piqué e Puyol, senza perdere nulla in organizzazione né in personalità. C’è un’impronta di squadra che domina e incombe sulle prestazioni dei singoli. Ognuno ha il suo compito ben preciso, cui può dare un’interpretazione personale ma sempre all’interno dello spartito. Così se Henry viene schierato in posizione centrale, come ieri, va a pressare sui portatori di palla avversari come faceva Eto’o sino a un anno fa. Se Sergio Busquets gioca davanti alla difesa sembra fare il verso a Yaya Toure, se gioca a sinistra sembra di vedere Keita. Tutti giocano la palla, anche se nessuno sa farlo come Xavi e Iniesta, e tutti chiudono sui portatori di palla avversari già nella loro metacampo. In questo il Barcellona di Guardiola ricorda il Dream team di Cruyff e il Milan di Sacchi: è la squadra a dominare su singoli e avversari.
Discorso opposto per l’Inter. I nerazzurri dipendono ancora dalle individualità. Mentalmente più tecnicamente. Prova ne è che qualche dirigente nerazzurro nel dopogara ha provato a spiegare la debacle con l’assenza di Sneijder. Pur avendo un undici di prim’ordine, l’Inter non è ancora una squadra in grado di competere ad armi pari col top del calcio mondiale. Nel campionato italiano Mourinho può permettersi il lusso di sbagliare pure formazione e aver la certezza di portare via i tre punti da ogni campo: il divario di forze è tale che puoi vincere con le sole giocate dei singoli. In Europa, contro squadre come Barcellona o Manchester United, serve altro. Quell’ingrediente che si chiama “complesso di superiorità”. Arriva con le vittorie. All’Inter mancava anche in campionato, negli ultimi anni lo ha trovato e si vede dal piglio con cui scende in campo in serie A, pronta a sbranare qualsiasi avversario. In Europa siamo ancora lontani. Molto lontani. Al Camp Nou Javier Zanetti portava palla come al solito, ma se in campionato questa è una prova della sua invidiabile condizione atletica ieri era una dimostrazione di impotenza: testimonianza di un’assenza di idee e di coraggio da parte dei compagni che si nascondevano, esponendo il capitano a tentativi velleitari di bucare il centrocampo blaugrana da solo. Ma lo stesso discorso può farsi per tutti i nerazzurri. Lucio, Samuel, Cambiasso o Eto’o, sono dei leader. La voglia di vincere è scritta negli occhi. Contro il Barcellona nessuno di loro aveva lo sguardo del trascinatore, al contrario tutti avevano l’espressione di chi spera che la soluzione arrivi da altri. In questo quadro suonano ancora più patetiche le lamentele di Mourinho sull’arbitraggio: “Non ci ha dato un rigore su Eto’o. Sul 2-1 la partita si sarebbe riaperta”. Scusa utile a corprire altro. Se la crescita di una squadra deve passare per Thiago Motta, per alcuni anni riserva del Barcellona prima di diventare faro del Genoa, il perché di certe sconfitte diventa più chiaro. ECL
Champions League 2009-10 – Fase a gironi / Quinta giornata – Barcellona, Camp Nou
BARCELLONA-INTER 2-0 (2-0)
Barcellona: Valdes; Dani Alves, Piqué, Puyol, Abidal (dall’89’ Maxwell); Xavi, Busquets, Keita; Iniesta (dal 94′ Dos Santos), Henry, Pedro (dall’85’ Bojan). Allenatore: Guardiola
Inter: Julio Cesar; Maicon, Lucio, Samuel, Chivu; Zanetti, Cambiasso (dal 46′ Muntari), Thiago Motta; Stankovic (dal 71′ Balotelli); Eto’o, Milito (dall’81’ Quaresma). Allenatore: Mourinho
Arbitro: Busacca (Svizzera)
Reti: Piqué al 10′, Pedro al 26′
Ammoniti: Puyol, Pedro; Motta, Chivu
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