In un colpo solo l’Arsenal supera il Reading, si riporta in vetta, segna il suo gol numero 1000 in Premier League e gioca il calcio più bello d’Europa. Merito di un grande manager.

La facilità con cui l’Arsenal ha superato in trasferta 3-1 il Reading, nel posticipo del lunedì della tredicesima giornata, rimarrà impressa nella memoria. Non solo per il millesimo gol del club in Premier League, siglato da Emmanuel Adebayor, ma per la dimostrazione di maturità e pazienza applicate a un calcio veloce, fluido e divertente da una squadra guidata da un regista di appena vent’anni come Cesc Fabregas.
Basta vedere l’Arsenal per dieci minuti in campo e capisci che i primi a divertirsi sono proprio i giocatori. Hanno voglia di correre, passarsi la palla, azzardare conclusioni e giocate. Uno spettacolo. Non solo per i telespettatori inglesi che, come detto recentemente da Alan Shearer, «se potessero, dopo la squadra del cuore, guarderebbero solo l’Arsenal».
Il presidente Uefa Michel Platini obietta: «Non mi piace il sistema di Arsene Wenger. E’ troppo facile comprare giocatori di 14, 15 e 16 anni da Francia, Italia, Spagna. Se tutti i club maggiori acquistano i migliori quindicenni in circolazione è la fine per tutti gli altri club europei. Se mio figlio gioca col Millwall e a 16 anni il Manchester United se lo compra, come potrà mai il Millwall mettere in piedi una buona squadra?». Il ragionamento non fa una grinza, si potrebbe aggiungere che, a quell’età, i ragazzini, anche se calciatori, meglio farebbero a restare con le loro famiglie. Ma in tempi di caccia al prodigio e di nuove strade per evitare i prezzi folli per acquistare giocatori affermati, va detto che nessuno più di Wenger e la scuola dell’Arsenal, guidata da Liam Brady, è in grado di gestire al meglio il materiale umano e calcistico che gli viene affidato.
Da quando il tecnico francese nel 1996 ha preso la guida dei gunners sono cambiate tante cose. Lo stadio, l’Emirates al posto di Highbury, è solo l’ultima. Reduce da tre stagioni alla guida del Nagoya Grampus Eight, in un campionato poco competitivo come quello giapponese, l’arrivo di Wenger era stato salutato da un comprensibile scetticismo. Nessun tecnico non angolosassone aveva mai allenato i gunners e nessuno avrebbe potuto immaginare che invece quel manager avrebbe rivoluzionato il calcio inglese. Come raccontato da David Seaman: «I suoi metodi erano così innovativi che all’inizio faticavamo noi stessi a capirli e accettarli. Ma poi abbiamo visto che funzionavano e Wenger ci raccomandava di non rivelare nulla ai nostri compagni di nazionale che non facevano che chiederci quale fosse il segreto delle nostre prestazioni. “Se non dite niente, conserveremo per un po’ il vantaggio su di loro” era la sua raccomandazione».  Aneddoto che si completa con i ricordi di Tony Adams: «Wenger ha cambiato tutto.  L’alimentazione, la preparazione atletica, gli allenamenti, tutto. Dopo alcune settimane di preparazione, io e Lee Dixon, andammo da lui molto preoccupati: “Non stiamo faticando abbastanza, il campionato è alle porte e rischiamo di non essere pronti”. La risposta fu netta: “Tranquilli, andrete più forte degli altri e più a lungo”. E così fu». Alla prima stagione la squadra finisce al terzo posto e non entra in Champions League per la differenza reti sfavorevole. L’anno dopo sarà double: Fa Cup e Premier League, al termine di una stagione in cui l’Arsenal recupera in campionato ben 12 punti al Manchester United. In un decennio seguiranno altri due campionati vinti e cinque secondi posti, tre Fa Cup, quattro Community Shield (equivalente inglese della Supercoppa Italiana) e una finale di Champions League (persa nei minuti finali contro il Barcellona, dopo aver giocato oltre 70 minuti in inferiorità numerica per l’espulsione di Jens Lehmann) e una di coppa Uefa (persa ai rigori contro il Galatasaray, con penalty decisivo dell’ex spurs Gica Popescu). Rimarrà il record di imbattibilità, durato 49 partite: nessun’altra ha saputo completare una stagione senza sconfitte.
La cura Wenger ha allungato l’elenco dei trofei e le carriere di molti giocatori come Seaman, Adams, Keown, Dixon. Ma il vero miracolo del tecnico francese è stato trasformare in poco tempo, la squadra più difensiva e noiosa d’Inghilterra, il “boring Arsenal” ben raccontato da Nick Hornby in Fever Pitch, in una formazione sinonimo di spettacolo e calcio moderno: circolazione di palla a uno-due tocchi, contropiedi alla mano che sembrano mutuati dal basket Nba e dal rugby, movimento costante di tutti i giocatori con un 4-4-2 di partenza che diventa 4-5-1, 4-2-4 o, addirittura, 4-6. L’invenzione di Francesco Totti “centravanti” nella Roma, arriva parecchi anni dopo quella di Thierry Henry punta centrale, libera di andare in profondità, allargarsi sulle fasce, arretrare per lanciare qualcuno al suo posto, segnare 225 gol che ne hanno fatto il capocannoniere della storia dell’Arsenal. Sostituire in questo modo centravanti tradizionali come Ian Wright e Nicholas Anelka è stata un’operazione coraggiosa ma ben ponderata. Un’intuizione, geniale per gli altri, ovvia per lui, e ripetuta quest’estate con la cessione di Henry e la sostituzione con Adebayor. Stessi dubbi, azzerati dagli stessi risultati brillanti, avevano circondato altri avvicendamenti storici: Lauren per Dixon, Eboue per Lauren; Fabregas per Vieira; Toure per Campbell; Van Persie per Bergkamp. Si potrebbe andare avanti per parecchio, per tutti i ruoli. In tutti i questi casi il passaggio di consegne è avvenuto dopo una-due stagioni di apprendistato, con il futuro sostituto obbligato a prendere appunti per una, due stagioni. Questo ha permesso alla squadra, pur cambiando completamente pelle più volte, di rimanere fedele al corso tecnico e tattico inaugurato da Wenger nel 1996. Se un difetto può trovarsi nel nuovo Arsenal, oltre la presenza di pochissimi inglesi in rosa, è che questa squadra sotto Wenger non ha mai saputo “vincere brutto”. Quelle partite dove la manovra zoppica, le conclusioni latitano, e serve uno che la butti dentro a prescindere dalla qualità della manovra, un Inzaghi, un Trezeguet qui non c’è più dai tempi di Alan Smith. Ma vincere così sarebbe troppo facile. C’era riuscito anche George Graham. LECHAMPIONS EUROPA

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