Avevamo sfogliato il libro celebrativo degli 80 anni de El Gráfico. Era il 1999. Di certo, oggi pensiamo sia difficile migliorare un prodotto così bello. Una simbiosi di piacere, di qualità letteraria, di meravigliosa precisione storica e fotografica. Un gioiello giornalistico che ripassava le prime otto decadi dello sport attraverso un periodico argentino che aveva raggiunto una dimensione universale. Ogni tanto ci ripensiamo. Ci sembra ancora di vedere la foto di quel lettore boliviano, coi gomiti poggiati su due colonne di volumi del Gráfico. E che nella sua lettera diceva con orgoglio: “Possiedo la collezione completa”. O, nei giovedì pomeriggio alla libreria Córdova 9 Ottobre a Guayaquil, l’attesa di lettori ansiosi che guardano i loro orologi e pensano: “La rivista avrebbe dovuto essere già arrivata”.
Ramón Martínez, oggi assistante del Direttore sportivo del Real Madrid, ricorda: “Nel 1982 ero a Valladolid: avevamo acquistato l’uruguaiano Falena Da Silva grazie a El Gráfico. Avevamo ricevuto la rivista e c’era una nota che segnalava Da Silva come uno che vrebbe sfondato. La parola del Gráfico era sacra: l’abbiamo preso e dopo un anno era il capocannoniere, il Pichichi, della Liga spagnola”.
Per il 70° anniversario hanno ricevuto un telegramma stringato dal celebrato settimanale statunitense Sport Illustrated. Due righe: “Noi abbiamo la fortuna di avere la rivista più venduta al mondo, voi la più prestigiosa. Congratulazioni”.
Le storie, gli aneddoti, i ricordi sono uno più bello degli altri. Il 30 maggio El Gráfico ha celebrato il 90° anno di attività come un’istituzione del giornalismo sudamericano. E’ l’unica testata su carta stampata che non ha lettori: ha tifosi.
Questa bellissima tradizione è nata a Buenos Aires grazie a un giornalista e scrittore uruguaiano: Constancio C. Vigil, autore di fiabe per bambini (La formica errante). Vigil aveva regalato una massima ai suoi collaboratori: “Se un articolo non provoca un sorriso, non fa scendere una lacrima o non fa discutere, quell’articolo non serve a nulla”.
La redazione si era sistemata in un elegante palazzo che aveva ospitato il Consolato tedesco a Buenos Aires. Da lì emanava un’ineguagliata radiosità. Dopo tanti anni, nel 1998 col cambio della proprietà, il trasferimento degli uffici da un’altra parte.
Dopo alcuni mesi eravamo ritornati, per pura curiosità, nell’amata redazione dove “El Gráfico” era stato scritto per decadi, un tempio del giornalismo nel quale decine di grandi giornalisti insegnavano classe, veri maestri dell’arte della comunicazione.
L’illuminazione era scarsa, le scrivanie vuote, la polvere ovunque, nemmeno un pezzo di carta in giro, né una macchina da scrivere o un computer, niente di quel delEl Grafico: una copertina del 1932izioso ticchettio dei tasti, nessuno più che passa nei corridoi, i telefoni silenziosi…  una sensazione di tristezza infinita, che sconfina nel dolore. Lì c’erano i folletti dell’eccellente Borocotó, di Félix Daniel Frascara (sua la frase “I giudici sono lì per sbagliare”), di Dante Panzeri, del monumentale Osvaldo Ardizzone, di Juvenal, di El Veco, di Cherquis Bialo, del nero Thiery; del magro Rafael che, quando il San Lorenzo retrocesse, parafrasando il tango “Sur”, titolò il suo pezzo “E il tuo nome si scioglie in addio…!”. Di tutti gli altri giornalisti che con una Remington nera o, successivamente, con le Olivetti verdi, ci avevano fatto ridere, piangere, commuovere milioni di persone nell’intero continente. Giornalisti che nel commentare calcio, boxe, ciclismo o canottaggio avevano creato uno stile particolare e indimenticabile di informare, di discutere, di orientare e di intrattenere.
“El Gráfico” è una parte importante della vita degli argentini. E di molti fratelli d’America che attraverso quelle pagine hanno “giocato” al Roland Garrós, “corso” il Gran Premio di Monza, “combattuto” affianco a Clay e Frazier al Madison Square Garden o sono entrati in campo presi per mano con Pele, Maradona, Di Stefano, Cruyff, Eusebio o Beckenbauer. Non c’è mai stata una stella che non sia comparsa sul “Grafico” né un torneo che non abbia concesso gli accrediti ai suoi giornalisti.
Le foto del “Grafico”! I gioielli ineguagliati del suo archivio! La “copertina” de “El Grafico”, era una celebrità tutta giornalistica. Apparire era un certificato di consacrazione per tutti gli sportivi. Nel 1940 vendeva 250.000 copie a settimana. Nelle campagne e nelle città, i ragazzi e gli adulti facevano sforzi per poterlo comprare. Era la “Bibbia dello sport”. Nel 1986, dopo il Mondiale di calcio vinto dall’Argentina, vendette 795.000 copie con l’immagine in copertina di Maradona che solleva la coppa. E’ il numero più alto di copie mai vendute da periodico in lingua spagnola. Non solo nello sport, ma in ogni categoria. Le rotative lavorarono ininterrottamente per 24 ore per stampare le copie. Finì la carta altrimenti avrebbero superato il milione.
La redazione vuota… la triste penombra, la nostalgia, il silenzio… e nel silenzio, la voce nasale di Ardizzone, le urla della domenica, un gol del Boca che si festeggia perché se vince il Boca si vendono più riviste, le classi calcistiche di Juvenal e il fanatismo di ciascuno. Perché tutti i giornalisti soffrono per una squadra. Cherquis e Proietto per il San Lorenzo, Juvenal per il River, Rafael per l’Atlanta, Arcucci per il Racing…
I numeri non descrivono più quello splendore. Ma il passaggio del tempo non è in grado di diminuire la sua leggenda, il prestigio conquistato in quasi un secolo e l’impatto che il suo nome provoca.

Jorge Barraza

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Traduzione LECHAMPIONS.it

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Sito della Confederacion Sudamericana de Futbol
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